Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 15

L'ariete

Franco Cardini - Ordinario di Storia Medievale, Università di Firenze

Figura astrale corrispondente alla costellazione che segna l'ingresso della primavera, l'ariete ha una chiara valenza solare, guerriera e fallica. Attestazioni di divinità dell'Ariete si ritrovano nella religiosità egizia e in quella vedica. Nel mondo greco-romano come in quello biblico, l'ariete è un animale per definizione deputato al sacrificio. Nel mondo cristiano spesso viene raffigurato come ariete l'Agnello-Cristo che salva l'umanità con il suo sacrificio, in contrapposizione al cattivo capro, simbolo dell'impuro.

San Giovanni Battista di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio: l'Ariete vi è raffigurato quale simbolo del Cristo.

Nel luglio 1987, in Giordania, si scavava un'ottantina di chilometri a sud di Amman, nella città nabatea, romana e bizantina di Umm ar-Rasas. Gli scavi erano diretti dal professor Michele Piccirillo dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. Durante una sosta dei lavori, un archeologo voltò svogliatamente una grossa pietra arenaria caduta da un cornicione: sulla faccia di quella pietra che il terreno aveva protetto per tanto tempo comparve una delicatissima scultura databile al VI -VII secolo d.C.: un maschio adulto di pecora dotato di belle grandi corna spiraliformi. Un montone: o meglio, un ariete.

Con l'ariete, il maschio giovane e ardito del gregge, si è dinanzi a un simbolo zoomorfo nodale nella cultura eurasiatica. Giovinezza, sanità, allegria, aggressività, forza, baldanza si concentrano in questo giovane splendido animale dal pelame sovente raffigurato candido o, più spesso, giallo dorato (e torna subito alla memoria il Vello d'Oro del mito, ma anche della Bibbia; e il Toson d'Oro borgognone e poi asburgico).

Figura astrale corrispondente alla costellazione che segna l'ingresso nella primavera, quando i nati del gregge cominciano ad allontanarsi dalle madri e a ruzzare, e sentono incipienti le corna sulla fronte, l'Ariete ha una chiara valenza solare, guerriera e fallica: non a caso la macchina di guerra che prende il suo nome è quella che atterra e viola i battenti. D'altronde, esso è nel mondo greco-romano come in quello biblico vittima designata del sacrificio: e poiché si sacrificano spesso agnelli che stanno per compiere un mese di vita e ai quali stanno per spuntare o sono già spuntate le corna, è difficile dire in realtà dove termina l'agnello e dove comincia l'ariete.

La stessa indecisione si nota nel mondo cristiano, dove l'Agnello, questa figura simbolica centrale dell'Incarnazione e del Mistero eucaristico, è sovente raffigurato come un ariete. E dove il buon ariete è spesso contrapposto al cattivo capro, con una precisa opposizione basata sul concetto di purezza-impurità. Irresistibile forza sessuale, potenza assoluta e perfetta, l'ariete è concepito come vergine: questo lo distingue dal montone, maschio adulto, padre del gregge. L'ariete non è mai vecchio.

In astrologia, l'ariete è collegato strettamente con il pianeta Marte e con il dio che ad esso dà il nome: nella Cosmographia di John Foxton, del 1408, un piccolo ariete è sistemato sulla testa del dio Marte. Nella corrispondenza tra costellazioni e parti del corpo, così importante nella medicina astrologica, l'Ariete governa la testa.

La prima attestazione di divinità dell'ariete ci viene dall'isola di Elefantina, presso Assuan, e dal dio Chnum, dio-ariete, "Signore dell'Acqua Fredda", e "dio-vasaio", cioè plasmatore degli esseri umani. Fu forse proprio la giovanile capacità di riproduzione dell'ariete, la sua forza fecondatrice, a ispirare questo culto. Non è invece più tanto il "facitore d'uomini", quanto il signore universale, quello che si adora a Karnak nel grande tempio eretto durante il Medio Regno (2052- 1570) in onore del dio criocefalo Amun, o Amon. Al tempio di Karnak si accede appunto percorrendo un grande viale fiancheggiato da sfingi che - come il dio - hanno testa d'ariete. Identificato col massimo dio solare, e adorato come Amon-Ra, il dio-ariete rimase tra le figure mitiche più popolari in Egitto; più tardi - fra VIII e VII secolo a.C. - una dinastia di principi etiopi, che creò un grande regno incentrato fra la terza e la quinta Cateratta, e che dominava tutta la fascia nilotica da sud di Khartum fino a Tebe, dette nuovo impulso al culto di Amon, centro del quale divenne la città santa di Napata. Si deve forse a questi tardi faraoni etiopi se il dio-ariete si è diffuso nell'Africa centrale (Marcel Griaule l'ha rintracciato, con funzioni agrarie e fecondatrici, presso i Dogon); il culto dell'ariete sopravvisse anche nel centro di Meroe, dalla quale si usa indicare quale "meroitica" tutta questa civiltà egizio-etiopica che ha forse avuto importanza incalcolabile quale centro nodale di cultura fra Egitto, Africa centrale e mondo arabo-asiatico.

Esso trovava molte centinaia di chilometri a est, oltre l'Oceano Indiano, un corrispettivo importante nel culto dell'ariete presso le civiltà arie dell'India. L'ariete è lì meshas, "il torrenziale", con un riferimento al tempo stesso uranico (il cielo gonfio di nubi tempestose) e fecondatore (l'inseminazione spermatica della pioggia sulla terra). Non stupirà, in una cultura nomadica come quella aria primitiva, il rapporto fra il cielo tempestoso e l'immagine dell'ariete celeste, pastore delle nubi che portano la tempesta.


Il segno zodiacale dell'Ariete in un'antica miniatura.

Nel Rigveda, il dio guerriero, pluviale e tonante Indra è appunto rappresentato come un bellicoso ariete; e se teniamo presente che Indra è per eccellenza, "l'atterratore di rocche" ( e a questo punto la tentazione di avvicinare l'ariete all'ordigno da assedio omonimo sarebbe forte), il legame tra forza guerriera ed energia sessuale - l'ariete come violatore delle porte chiuse e delle fortezze imprendibili - risulterà chiaro. Da qui, una prima osservazione sul carattere bipolare, fecondatore e distruttore, dell'energia dell'ariete: un elemento che tornerà tra i dati caratterizzanti di quella costellazione nella tradizione astrologica.

Nelle Upanishad, è sotto le spoglie dell'ariete che Indra insegna la dottrina dell'unicità del Principio supremo:

Mi sono mutato in ariete per la tua felicità. Tu sei giunto alla Legge per il tuo bene.

Se Indra è il capo dei deva, i "divini", l'ariete appartiene come attributo anche a un asura che i Veda avvicinano ai deva, cioè ad Agni, il Fuoco, che è al tempo stesso messaggero degli dèi ai quali sono rivolti i sacrifici cruenti di cui il fuoco è tramite, e dio domestico, protettore del focolare, centro della casa: dio splendente, luminoso, benevolo, Agni è il signore di tutto quel che sulla terra è luce, compreso l'oro. Questo rapporto dell'ariete col focolare sembra tipico del mondo indoeuropeo: e quindi ad esso si può risalire per spiegare gli alari e le pietre del focolare ornati di teste d'ariete che si trovano nello stesso mondo celtico.

Il lavoro nei campi nel periodo dominato dall'Ariete.

Si resta sempre incerti, quando si tratta di azzardare un giudizio sia pure ipotetico sulle "origini" e le "influenze" delle religioni. In Grecia, noi vediamo che l'ariete ha un posto simbolico importante in due direzioni: una uranico-solare, come animale sacro ad Apollo (e la suggestione di Amun potrebbe essere presente; ma chi pensa invece al rapporto fra cultura vedica e poi brahmanica e cultura ellenica alla luce dell'ondata indoeuropea della fine del II millennio, preferisce invece avvicinare Apollo a Indra), e una soterica, come simbolo di Hermes (il quale, nel suo ruolo di Messaggero divino, si potrebbe porre in rapporto con Agni).

Preso i Dori, si adorava quell'Apollo che Pindaro chiama Karneios: sotto forma d'ariete egli era il consigliere dei pastori e il protettore delle greggi, che salvava dall'epizoozia[1] e dalle belve; a Sparta, in agosto-settembre, si celebravano in suo onore le feste di nove giorni dette Kàrneia. a Tanagra, in Beozia, si salutava quale salvatore delle greggi dall'epizoozia, in vece, Hermes, il quale avrebbe preso sulle sue spalle un ariete e lo avrebbe condotto intorno alla città in un rito che avrebbe allontanato il flagello. Si tratta di Hermes "crioforo", "portatore dell'ariete" (che in greco è kriòs), che è forse uno dei modelli formali del "Buon Pastore" cristiano. È stato notato come nella radice KRN siano incluse le idee di "potenza" e di "elevazione", connesse con le corna e con la corona (il latino e quindi l'italiano, mantengono ben evidente questa radice in entrambe le parole). Apollo Karneios è tale in quanto dio-ariete, quindi provvisto di corna, e signore della corona raggiante; ma anche in quanto saettante, signore del keraunos, cioè della freccia, e dei kerata, delle vette: attributi che non a caso condivide con Belenos, l'Apollo celtico (del resto Apollon e Belenos sono varianti dello stesso nome).

Egitto, India vedico-brahmanica, Grecia: siamo andati cercando le tracce della criolatria in questi tre Paesi, magari passando per la Nubia governata da una dinastia regale d'origine etiopica. A questi Paesi siamo in un modo o nell'altro costretti a tornare se consultiamo la biblica "visione di Daniele" (Daniele 8, 1- 21), dove il montone dalle corna alte ma disuguali è l'impero medo-persiano, che viene affrontato e abbattuto da un capro provvisto di un corno solo e proveniente dall'Occidente, cioè da Alessandro Magno. Comunque il montone (cioè l'ariete), che il testo di Daniele assegna alla potenza persiana, sembrerebbe a ben guardare adattarsi piuttosto ad Alessandro stesso, che la tradizione araba chiama al-Iskandar dhul-qarnein, "Alessandro il Bicorne". Le corna sono, com'è noto, simbolo di dominio, e in quanto tali sono spesso connesse con le corone; due corna, potrebbero quindi simboleggiare il potere di Alessandro esteso sull'Oriente e l'Occidente. Ma v'è forse qualcosa di più.

Alessandro amava, sin da giovanissimo, un dio bicorne che aveva conquistato l'India: Dioniso, raffigurato sovente con corna taurine. Più tardi, fra l'inverno del 332 e la primavera del 331, dopo aver conquistato Tiro al termine di un lungo assedio e aver respinto le profferte di pace di Dario III, il Macedone giunse in Egitto, visitò i santuari di Eliopoli e di Menfi, fondò Alessandria e infine osò mettersi in marcia alla volta dell'oasi di Siwa, in Libia, affrontando - come già avevano fatto gli eserciti di Cambise - il deserto e le sue tempeste di sabbia. Giunto nell'oasi di Siwa, visitò il santuario sacro ad Amon che lì sorgeva: i sacerdoti lo acclamarono figlio di quel dio, e Plutarco aggiunse che 'si sparse la voce che lo avessero altresì chiamato "figlio di Zeus".

L'Agnello mistico (1425-32), dettaglio, di Jan Van Eyck.

Nella cultura alessandrina e poi romana si sarebbe in effetti diffuso il culto di Giove-Ammone, raffigurato coronato di corna d'ariete. E Alessandro, proclamato dai sacerdoti egizi figlio del dio-ariete, avrebbe ben potuto a sua volta fregiarsi di quelle insegne. È questa l'origine del suo epiteto nella tradizione araba? Il Corano, nella "Sura della Caverna", parla dell'Uomo dalle Due Corna vincitore di Gog e Magog, e sembra in questo riprendere elementi desunti dal Libro di Daniele e dall'Apocalisse.

Nella Scrittura ebraica e quindi cristiana, comunque, l'ariete più importante non è quello della profezia di Daniele, ma quello del sacrificio di Abramo.

L'uso dell'ariete come animale sacrificale è antico e diffuso: in quanto "miglior capo" del gregge, esso era un animale per definizione deputato al sacrificio: nei culti di Attis e di Cibele si praticava inoltre il Criobolio, affine al Taurobolio[2] mitraico: il fedele veniva posto sotto l'ara sulla 1uale l'ariete era sacrificato, e "lavato" con il sangue di esso.

Nell'esegesi patristica dell'episodio del sacrificio di Abramo, tuttavia, si sottilineava - ed era Agostino i proporlo - la presenza dell'ariete come simbolo cristico.

Il racconto biblico presenta Abramo volgersi - dopo che la mano dell'angelo gli ha impedito di volger l'arma contro il figlio Isacco - a un ariee, rimasto provvidenzialmente imprigionato tra le spine presso il luogo del sacrificio. Ecco quindi che Isacco diviene figura dell'umanità salvata dal sacrificio dell'ariete (il Cristo); le spine del roveto nel quale l'animale è rimasto prigioniero alludono, nel contesto di questa lettura, alla corona stessa di spine che è uno degli strumenti della passione. L'oggetto del sacrificio pasquale, nella tradizione ebraica, è senza dubbio un agnello: tuttavia, esso tende iconograficamente talora ad avvicinarsi all'ariete, forse anche per attrazione fra il tema pagano dell'Hermes crioforo e quello cristiano del "Buon Pastore", Arieti figurano insieme alle pecore nelle greggi simbolo dei beati in molte raffigurazioni del Giudizio universale, contrapposti agli impuri capri che stanno alla sinistra e che - secondo il Vangelo di Matteo - sono figura dei reietti. Nella moralizzazione dei miti pagani in termini cristiani prenderà più tardi posto anche il racconto omerico di Ulisse, che esce dalla caverna di Polifemo nascosto sotto il ventre di un grosso ariete: a sua volta simbolo dell'uomo che, affidandosi al Cristo, sfugge al peccato e all'inferno di cui la caverna del Ciclope è simbolo. L'Agnello dalle sette corna dell'Apocalisse è rappresentato talora con corna di ariete.

L'Ariete, dall'Uranographia di Johann Bode (1801).

Nel mondo medievale, la presenza dell'ariete risente attraverso la mediazione cristiana dei suoi presupposti egizi, indiani e greci: ma prevale senza dubbio il suo carattere astrale, come costellazione che presiede all'inizio dell'anno e della primavera e che sta in rapporto con il pianeta e il dio Marte. Anche nel linguaggio alchemico, per lo stesso motivo, esso rappresenta l'inizio della Grande Opera. Il tipo dominato dall'influsso dell' Ariete è sanguigno, collerico, generoso, caratterizzato da un'intensa vitalità e da una pronunziata virilità. Raro invece è l'ariete come figurai araldica, nel qual caso è ordinariamente passante: insomma, si preferisce non servirsene a indicare quelle caratteristiche virili e guerriere delle quali pur esso parrebbe simbolo ideale. Ma l'ariete balzò d'un tratto, nel XV secolo, all'apice delle fantasie simbolico-emblematiche d'Europa allorché Filippo il Buono, duca di Borgogna, fondò l'Ordine cavalleresco "di corte" detto "del Toson d'Oro", che poi - dalla casa di Borgogna passata a quella d' Asburgo, nei due rami spagnolo e austriaco - sarebbe divenuto per oltre tre secoli il più ambìto degli Ordini europei. La storia che ispirò il "Tosonex" (cioè il vello) è nota. Secondo il mito greco, due nobili giovani, Frisso e la sorella Elle, ingiustamente perseguitati, si sarebbero salvati dai loro persecutori grazie a Zeus, che avrebbe inviato dal cielo una nube che celava un prodigioso ariete dal vello aureo. Afferratisi al volo alla preziosa pelliccia, i due sarebbero scampati volando verso la Colchide; senonché, sorvolando il braccio di mare che ora è l'Ellesponto (e che per questo appunto avrebbe ricevuto tale nome) Elle avrebbe lasciato la presa e sarebbe caduta nelle acque. Frisso, al contrario, sarebbe giunto salvo in Colchide, dove per ringraziare Zeuz avrebbe sacrificato l'ariete, appendendone il vello d'oro ad una quercia a guardia della quale fu posto un drago. Successivamente gli Argonauti, guidati da Giasone e con l'aiuto di Medea, si sarebbero impadroniti del vello. Ma alla corte borgognona la storia di Giasone piaceva poco: oltretutto, la proverbiale malafede di quell'eroe nei confronti dell'innamorata Medea si prestava a facili ironie. Qualcuno avrebbe potuto osservare che l'infida politica dei duchi, in bilico perpetuo tra Francia e lnghilterra, si ispirava a quella mitica disonestà. Allora il cancelliere dell'Ordine, che era il dotto vescovo Jean Germain, trovò nella Bibbia un altro "Tosone": il vello che Gedeone aveva steso durante la notte e che aveva raccolto una prodigiosa rugiada divina, a prova dell'elezione del popolo d' Israele (Giudici, 6,33-40). Quel vello era interpretato, nell' esegesi corrente, come figura sia dell'Incarnazione, sia dell'Immacolata Concezione.

Associati al vello d'ariete, che è l'emblema dell'Ordine, nella simbolica di quel celebre sodalizio vi sono peraltro altri simboli: come la pietra focaia e le fiamme, emblemi personali di Filippo il Buono. Ed è certo una coincidenza: ma il richiamo al fuoco e agli strumenti per accenderlo, presenti anche nel culto brahmanico di Agni, sembrano richiamare l'ariete alle lontane origini del suo culto. È una di quelle coincidenze sulle quali storicisti, strutturalisti e diffusionisti potrebbero meditare a lungo, giungendo com'è giusto a differenti conclusioni; ma che nel mondo dei simboli si verificano spesso, e delle quali non è giusto fingere di non accorgersi.

La Sfera dell'Ariete, dal Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti (1645).
 

Note

[1] Epizoozia: malattia diffusa tra un grande numero di animali e su un vasto territorio.

[2] Taurobolio e Criobolio, secondo A. M. Di Nola, "sono propriamente il catturare il toro o l'ariete a mezzo di un laccio lanciato (bolo) secondo arcaici usi di caccia di probabile origine asiatica". Nei riti frigi Taurobolio e Criobolio sono lo speciale sacrificio dei due animali, il cui sangue è poi irrorato sul fedele. Sempre secondo di Nola, essi "sembrano essere stati riti individuali, privati, segreti nei tempi più antichi, per passare poi a riti pubblici quando la religiosità frigia si ufficializzò a Roma".

La serie di Franco Cardini dedicata alla tradizione del simbolismo animale e dei bestiari, originariamente pubblicata sulla rivista Abstracta tra il 1986 ed il 1989 col titolo di Mostri, Belve, Animali nell'immaginario medievale, è integralmente ospitata su Airesis nella sezione Il giardino dei Magi. Si compone dei seguenti articoli:

Il sito personale di Franco Cardini: www.francocardini.net

Articolo pubblicato per la prima volta sulla rivista Abstracta n. 24 - marzo 1988, pp. 46-53, riprodotto per gentile concessione dell'autore che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.