Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 16

La giraffa

Franco Cardini - Ordinario di Storia Medievale, Università di Firenze

Ricordata da Plinio la giraffa scompare poi dalle cronache antiche e medievali. Inutile in battaglia, incapace di lavori troppo pesanti, cagionevole di salute. Non era un animale che potesse troppo adattarsi a venire esibito in Occidente. Non ebbe fortuna né nell'araldica, né nell'emblematica; restò tuttavia sempre associata al fascino dell'Africa.

La giraffa, l'elefante ed altri animali in un dettaglio del Trittico delle delizie (1503-1504) di J. Bosch.

Strano destino, quello del rapporto tra realtà e verità. È più "reale" una cosa vera della quale nessuno si accorge, o una falsa della quale non parla nessuno? Se leggiamo i testi antichi o medievali, parrà che la gente del tempo avesse una grande familiarità con elefanti e leoni: eppure capitava di vederne relativamente di rado, almeno in Europa. E si stenterà a credere che nessuno avesse mai veduto draghi, manticore, sirene e centauri, dal momento che se ne par- lava con estrema disinvoltura e anche con dovizia di particolari.

Ma, di fronte alle belve note soltanto o soprattutto attraverso testi letterari o raffigurazioni, e di fronte ai mostri mai incontrati nella realtà, e che pur disponevano d'illustre tradizione, si allineavano gli animali meno significativi e - come diremmo in termini semiologici - meno significanti: o perché troppo quotidiani e quindi oggetto di scarsa attenzione, o perché in effetti poco e male noti, raramente veduti ma non sostenuti da quella tradizione illustre che rendeva familiari i pur esotici elefanti e leoni.

Prendiamo ad esempio la giraffa. Plinio, che ben conosceva il cammello, non può fare a meno di ricorrere ad esso per analogia quando si tratta di descrivere due animali che lo spiazzavano un poco: lo struthocamelus e il camelopardalis, entrambi originari della lontana e misteriosa Africa ed entrambi non ignoti al mondo romano: anche a quello dei giochi circensi. È facile a notarsi come gli stessi nomi latini dei due animali si tolgano abilmente dalla peste facendo ricorso alla parola camelus.

Abbiamo insomma un termine di confronto, il cammello, alla luce del quale comprendere o quanto meno indicare e descrivere lo struthocamelus, cioè il "passero-cammello", strano ibrido - nella sensibilità antica - fra uccello e quadrupede, e il camelopardalis, il "cammello-leopardo", nel quale la forma e le dimensioni rammentavano alla lontana il primo dei due animali dei quali era detto ibrido, e il mantello chiazzato il secondo.

È evidente che il camelopardalis era la giraffa: per descrivere la quale Plinio spingeva a fondo la risorsa offertagli dall'arte delle ibridazioni:

Gli Etiopi chiamano nabu una bestia simile nel collo al cavallo, nei piedi e nelle zampe al bue, nella testa al cammello, con macchie bianche sul pelame fulvo; per questo è chiamata camelopardalis, e fu vista a Roma per la prima volta durante i giochi del circo offerti da Cesare quando era dittatore. Da quel momento la si vede spesso, animale notevole per il suo aspetto più che per la natura feroce, e per questo ha avuto anche il nome di pecora selvatica.

Il camelopardalis era anche noto quindi col nome di ovis fera. La parola nabu, usata dagli Etiopi, corrisponde all'aggettivo "alto"; del camelopardalis (un termine desunto dal greco), parlava anche Varrone nel De lingua latina, composto più o meno all'indomani di quel 46 a.C. nel quale il trionfante Caio Giulio Cesare aveva fatto conoscere ai Romani il camelopardalis, nome straniero come un po' tutti quelli delle ferae (commentava il conservatore Varrone, che non vedeva di buon occhio le novità né le cose strane che venivano da lontano). La camelopardalis, testé portata da Alessandria, così chiamata perché aveva la figura di un cammello e la pelle screziata di una pantera...

Aristotele non conosceva la giraffa; o, quanto meno, non ne parla. Ne trattano invece i geografi Agatarchide e Artemidoro, il secondo dei quali era la fonte specifica di Plinio.

Ricordata da Plinio, la giraffa scompare poi dalle cronache antiche e medievali. Meno spettacolare dell'elefante, inutile in battaglia, incapace di lavori troppo pesanti, cagionevole di salute, essa non era un animale che potesse troppo adattarsi a venire esibita in Occidente. La ritroviamo tuttavia - esemplare unico, e fra i più ammirati - nel serraglio che seguiva l'imperatore Federico II nei suoi spostamenti, durante la prima metà del Duecento: un serraglio del quale - addobbati d'ogni sorta di stoffe preziose e di monili e tenuti alla catena da schiavi saraceni - facevano parte leopardi, linci, scimmie, orsi, pantere. leoni, falchi, poiane, pavoni, aras, struzzi, colombe di Siria e l'immancabile elefante.

Di quest'apparato, straordinario per l'epoca, Federico si serviva soprattutto quando faceva il suo ingresso nelle città italiane; ma, tra esse, quelle costiere non erano a loro volta nuove a spettacoli di questo tipo. Animali esotici si vedevano relativamente spesso, difatti, a Venezia, a Genova, a Pisa, nei centri meridionali. Tuttavia il presentarsi attorniato da quelle che, allora, erano altrettante meraviglie, costituiva per Federico una prova ulteriore del suo proporsi quale Nuovo Adamo e Nuovo Cristo, signore del creato, padrone dei misteri della natura. La formosa difformitas, la straordinaria eccezionalità della giraffa, costituiva appunto uno degli attributi di un sovrano straordinario.

I contatti con l'Oriente al tempo delle crociate resero relativamente frequenti gli arrivi in Europa di animali esotici, attorno ai quali si concentravano curiosità e attenzione; e, al pari dei monarchi dell'Asia, Federico - che amava collezionare animali strani come collezionava oggetti e gemme preziose, congegni mirabili, curiosità naturali - introdusse nelle corti europee il gusto del serraglio.

Questo interesse degli occidentali per gli animali esotici faceva sì che ad essi fossero attenti i viaggiatori e i pellegrini che dall'Europa si recavano in Africa e in Asia, e le descrizioni dei quali venivano usate anche dai pittori.

Ad esempio il fiorentino Lionardo di Niccolò Frescobaldi, che nel 1384 si recò ad Alessandria e quindi al Cairo per poi dirigersi, attraverso il Sinai, alla volta di Gerusalemme, giunto al Cairo vide elefanti e giraffe, e li descrisse con un sistema che per certi versi ricorda Plinio: cioè ricorrendo a parti distinte di animali familiari al suo paese, e istituendo un paragone con esse:

La giraffa è un animale corpulente, come comunale cammello, e mansueta come pecora, e di pelo di cervio. I piedi suoi ha fessi come di bue, le gambe di drieto lunghe circa due braccia; la coda come di capra, la schiena corta, le gambe dinanzi lunghe circa quattro braccia, il collo altrettanto, la testa come vitella di latte, e corna vestite di pelle come quelle del cavriolo.

La promiscuità di forme secondo la quale veniva descritta non giovò alla giraffa: essa non ebbe fortuna né nell'araldica, né nell'emblematica. Restò comunque associata al fascino dell'Africa, e come tale sarebbe divenuta, nell'Europa moderna, un'abitatrice obbligatoria dei giardini zoologici.

Una strana giraffa con le corna in una tavola del Peregrinationes in Montem Syon di B. Von Breydenbach, 1486.

La serie di Franco Cardini dedicata alla tradizione del simbolismo animale e dei bestiari, originariamente pubblicata sulla rivista Abstracta tra il 1986 ed il 1989 col titolo di Mostri, Belve, Animali nell'immaginario medievale, è integralmente ospitata su Airesis nella sezione Il giardino dei Magi. Si compone dei seguenti articoli:

Il sito personale di Franco Cardini: www.francocardini.net

Articolo pubblicato per la prima volta sulla rivista Abstracta n. 25 - aprile 1988, pp. 50-53, riprodotto per gentile concessione dell'autore che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.