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Metafore alchemiche:

 CENERENTOLA E LO ZOLFO

Giuseppe Sermonti - scrittore, saggista, già docente di genetica all'Università di Perugia.

Articolo pubblicato per la prima volta nella rivista Abstracta n° 35 (marzo 1989) pp. 58-67, e riprodotto per gentile concessione dell’autore che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.

 

 

Danae (1544), olio di Tiziano. sulla fanciulla scende la pioggia d'oro nella quale si è trasformato Giove.
 

 

Cenerentola, che passa continuamente dal fuoco ardente nell’oscurità alla danza in abiti d’argento e d’oro, è una Kore-Persefone fiabesca, ed è l’elemento zolfo, che emerge dalla sudicia e fetida pietra di miniera nella lucentezza del cristallo dorato.

 

L'ermeneutica alchemica delle fiabe di Giuseppe Sermonti venne esposta per la prima volta  in tre successive pubblicazioni da tempo esaurite: Fiabe di luna. Simboli lunari nella favola, nel mito, nella scienza (Rusconi, 1986), Fiabe del sottosuolo. Analisi chimica delle fiabe di Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Cenerentola (Rusconi, 1989), Fiabe dei fiori (Rusconi, 1992). Il contenuto di queste tre pubblicazioni, ulteriormente rivisto ed accresciuto dall'autore, è ora raccolto in Fiabe dei tre regni, per i tipi dell'editore La Finestra di Trento.  

 

Il terzo personaggio di fiaba cui dedichiamo la nostra analisi è Cenerentola, un’orfanella grigia e sudicia cui non compete né la birichineria di Capopuccetto Rosso, né la castità di Biancaneve. Essa passa dall’oscura segregazione di un sottoscala alla bellezza danzante in abiti meravigliosi. A differenza delle fanciulle delle prime due fiabe, ella conosce le malìe dell’amore, i corteggiamenti e le fughe, i nascondimenti e le riapparizioni. Cenerentola è l’erede di Proserpina, ovvero di Kore-Persefone (1): costretta in sepoltura davanti al fuoco ma periodicamente riportata alla luce e rivestita di primavera (2).

«Cominciarono i giorni tristi per la povera figliastra (raccontano i Grimm) (...) le tolsero i bei vestiti, le fecero indossare una vecchia palandrana grigia, e le diedero un paio di zoccoli. – Guardate la principessa com’è agghindata ! – esclamarono ridendo e la condussero in cucina». Anche la Cenerentola di Perrault: «Quando aveva finto le faccende, andava a rifugiarsi in un cantuccio del focolare, e si metteva a sedere nella cenere». La segregazione non dura a lungo. Aiutata da un uccellino o una fata, la fanciulla abbandona il sui nascondiglio e torna alla luce, espressa bei suoi abiti: «Allora l’uccello le gettò un abito d’oro e d’argento e scarpette trapunte d’argento e di seta». Così nella fiaba dei Grimm.

Più regale l’abbigliamento descritto da Perrault: «I suoi abiti si mutarono in vestiti di broccato d’oro e d’argento, tutti ricamati con pietre preziose; (la fata) le diede poi un paio di scarpette di vetro che erano una meraviglia, così vestita ella salì in carrozza...». Il passaggio dalla cenere alla veste dorata si ripete più volte, come nel mito di Proserpina che passa un terzo di ogni anno agli Inferi e due terzi sotto il cielo. Il periodico morire e rinascere è la modalità dell’esistenza delle due fanciulle, di Proserpina in un mondo arcaico e di Cenerentola in un palazzo della nostra era.

 La vicenda della fanciulla Kore ha un tratto che la avvicina in modo particolare alla Cenerentola di Perrault. Kore sale su un carro dorato trascinata da cavalli immortali. La bella di Perrault sale su una berlina “tutta dorata” portata da sei splendidi cavalli. Kore va nel palazzo infernale e Cenerentola nel palazzo del re. Cenerentola si trova al ballo insieme alle due sorellastre e ill principe reale non ha alcuna esitazione nello scegliere lei come sua ballerina. Anche Kore forma, nella danza sui campi fioriti, una triade con due sorellastre, Artemide e Atena. Tra le tre vergini è lei che è scelta come sposa dal re degli Inferi.

 

Soffermiamoci ora sul Narciso divelto da Kore, che costituisce una connessione forte tra il mito e la fiaba.

Tra rose e crochi, violette, iris e giacinti, la dea Gea aveva fatto spuntare una splendida pianta di narciso, per tentare la fanciulla dal volto di bocciolo. Era una pianta meravigliosa, dal profumo dolce e intenso, e alla sua vista il cielo, la terra e l'acqua ridevano. Kore stese ambo le mani verso il fiore tentatore, come verso un tesoro. Improvvisamente la terra si spalancò e sul campo Niseo si aprì una voragine: Ne balzò fuori il terribile dio degli Inferi che trascinò la fanciulla riluttante e piangente sul Suo carro verso il regno sotterraneo.

Il mito stabilisce l'archetipo di tutte le infrazioni del perno vegetale, dell'albero della vita, dell'axis mundi. È il peccato originale, provocato dal tentatore, che prende poi possesso del peccatore. Tutti gli orchi, i mostri, i diavoli che compaiono attraverso il foro prodotto dalla pianta divelta, dal fiore reciso o dal rametto staccato, sono manifestazioni del dio degli Inferi. E tutti i castelli incantati in cui la fanciulla delle fiabe è trascinata sono il regno pieno di ricchezze del sovrano Plutone.

Nella Cenerentola dei Grimm c'è un ramo spezzato a fornire la magia che condurrà la fanciulla al Palazzo reale. Sulla pianta che nascerà dal ramo, un uccellino bianco provvede ai desideri della piccina. Cenerentola incarica il padre di cogliere il ramo:

"Babbo, il primo rametto che vi urta il cappello sulla via del ritorno, coglietelo per me».

Il rametto, e la piantina di nocciolo che ne nasce, parrebbe piccola cosa di fronte al narciso, tentatore di Kore, ma in altre fiabe, per vari aspetti appartenenti al tipo di Cenerentola, la rottura che il padre produce spezzando il ramo per incarico della figlia ha il carattere fatale di un preludio infero.


In alto, gli uccellini aiutano Cenerentola nella cernita delle lenticchie (rielab. grafica dall'ill. di L. Richter e M. von Schwind ai Marchen dei Grimm).

Qui sopra Cenerentola innaffia il nocciolo da cui riceverà gli abiti dorati (id.).

 

 

Ne La Bella e la Bestia (3) incontriamo tre sorelle, le due maggiori piene di superbia, la minore più bella e più buona. Ella chiede al padre di portarle una rosa, ma quando il bravuomo compie il gesto, la piccola infrazione produce l'effetto dello strappo di Kore: nel fragore che ne nasce appare un personaggio che ha le fattezze di un dio degli Inferi:

«Nel mentre passava sotto un pergolato di rose, si ricordò che Bella gliene aveva chiesta una, e prese un ramo dove ve ne erano parecchie. A questo punto, udì un orribile fragore e vide venirsi incontro una Bestia così mostruosa ch 'egli fu lì lì per svenire».

In seguito la Bella si sostituirà al padre nel palazzo della Bestia. La fanciulla è sottratta ad un padre dolorante e obbligata ad una dimora estranea e ad una compagnia mostruosa. Questo può configurare un ratto, al modo di quello perpetrato da Ade.

La cernita delle pietre grezze da avviare ai forni (De re metallica di G. Agricola, 1556)

 

Solfare

 Dove, negli altipiani della Sicilia centrale troviamo il luogo che può corrispondere all'ingresso dell'Inferno? Dove l'oscura caverna al di là della quale è la tenebra, il fuoco, il demoniaco, ed altresì le ricchezze di Plutone?

Proprio intorno al lago di Pergusa, che è il luogo mitico del ratto di Proserpina (4), si aprono, da tempo 1mmemorabile, bocche paurose che menano alle profondità della terra, grembo di dolore e di ricchezza: sono gli ingressi delle solfare. I picconieri che nell'antichità vi si calavano a cercare i minerali solfiferi avevano la sensazione di calarsi in un inferno. Nelle gallerie sotterranee regnava l'acre odore dello zolfo, fetore di diavolo, e si rintanava un fuoco infido, minaccioso, che in ogni istante poteva invadere i camminamenti e colmarli di gas venefico.

Le pareti e le volte delle gallerie delle miniere di zolfo appaiono, alla luce delle lampade, di un colore grigio pallido, cinerino. La massa amorfa della ganga calcarea rivela il suo carico di zolfo nel minuscolo luccicare di microcristalli dorati. I picconieri abbattevano le pareti pietrose con monotoni colpi di piccone, ed il pietrame caduto a terra era trasferito in ampie gerle sostenute a spalla dai 'carusi'. Le piccole creature, chinate e sofferenti, salivano in pietosi cortei, con gambette tremanti, verso l'esterno attraverso lunghissimi camminamenti, sostenuti da rozzi gradini di legno.

Le pietre contenenti lo zolfo si raccoglievano in grandi mucchi e poi si dava loro fuoco. Parte dello zolfo bruciava ed altra colava fuori dal mucchio e veniva raccolta in appositi recipienti. Così riporta Agricola il processo d'estrazione per colatura. «Ma hora vengo a modi de l'abbruciare: e primieramente a quello che è comune a tutte le vene. .." e va avanti descrivendo come si prepari: «un 'aia quadra molto ben grande e dinanzi aperta, sopra la quale s 'assettano insieme alcuni legni l'uno a canto l'altro: e sopra questi legni, degl'altri legni attraverso si pongano parimenti l'uno a canto a l'altro: il perché alcuni de nostri chiamano grata, questa composizione di legni. ..a l 'bora sopra tai legni ammontati si pongano i pezzi ben minuzzolati di qualunque specie di vene. In prima si mettano i grossi, di poi i mezzani, e finalmente i più piccoli e così questo ammontamento a poco a poco alzandosi fa la forma di piramide. ..Ma se la pietra viva, o la cadmia, o altra vena partecipante di metallo, haverà più del dover del zolfo, o del bitume, ei bisogna di maniera abbruciarla, che niuna di queste cose si perda: perciò bisogna metter sopra una piastra di ferro piena di buchi, e gittarvi su molti carboni, e così abbruciarla. Questa piastra bisogna che da tre muri sostenuta sia, due da le teste e il terso di dietro. Sotto questa piastra si accomodano alcune pentole nelle quali è dell'acqua: nella quale acqua cala il vapore o bituminoso o sulfureo che sia. Cotal grassume sendo giallo mostra che è zolfo, ma se è bitume, egl 'è nero a guisa di pece... Detto grassume separato da la vena reca qualche utilità a le persone, massime quando è sulfureo».

Il procedimento di colatura dello zolfo non è descritto separatamente, ma insieme quello del bitume, il primo rivelandosi come liquido giallo ed il secondo come nero. In Sicilia il materiale solfifero estratto dai picconieri era trattato, sino al 1850, su piani inclinati che si chiamavano calcarelle, appunto simiglianti all' «aia quadra molto ben grande» di Agricola. Queste erano fornaci circolari, di 1, 5-2 metri di diametro, poco profonde col suolo inclinato. Il fondo era formato di ciotoli o pietrame minuto. La fornace si riempiva di minerale e al di sopra si faceva un alto cumulo conico o a piramide totalmente scoperta. Compiuta la carica, all'imbrunire, il cumulo era acceso nel terzo superiore, e la calcarella era abbandonata a se stessa. Il mattino seguente da un foro aperto nella parte bassa della fornace, chiamato morte, cominciava a colare lo zolfo. Verso sera. e talvolta a notte avanzata, la fusione era terminata (5). Lo zolfo ricavato era poco più di un terzo del totale. Il resto si perdeva ardendo nell'atmosfera allo stato di anidride solforosa (S02).

Lo zolfo racchiuso, tetro e sgraziato, che aspira alla luce, corrisponde a tutti gli esseri pelosi e insudiciati che popolano le fiabe, corrisponde alla Bestia che nasconde il cavaliere.

Esso è come la materia iniziale dell'alchimista, che: «Unisce alla nerezza un odore spiacevole, sporca le mani di coloro che la toccano e, molto sgraziata, riunisce in tal modo tutto ciò che può dispiacere» (6).

A volte l'essere avvolto nell'oscura palandrana o nella sudicia pelle è una fanciulla. Massima ambiguità del simbolo che include nella rappresentazione di tutto ciò che è forte, attivo, virile, la grazia delicata delle bimbe. Dunque, questa immacolata verginella, che siamo andati a pescare in una cucina nel sottosuolo di palazzo, questa oscura, dolcissima Cenerentola, corrisponde allo zolfo. Segregata dal mondo, nel racconto dei Grimm, relegata in un sotterraneo, accanto al fuoco, tra la cenere, ella è come la roccia grezza, da nulla meglio rappresentata che dallo zolfo di miniera. Rivestita di una palandrana grigia (Grimm) o da poveri abitucci (Perrault) ella si colloca nel tipo del giovane ricoperto dal pelo, piuttosto che in quello della bella addormentata.

 

 La bimba 'caruso'.

La bimbetta condannata all'oscurità sotterranea e al duro lavoro ricorda, oltre alla pietra solfurea trascinata all'aperto, i malcapitati fanciulli che a questo trascinamento erano forzati: i 'carusi'. Il caruso era un bimbetto, a volte di soli sei o sette anni (mai più di quattordici), il cui compito era quello di caricarsi sulle spalle una gerla contenente decine di chili di roccia abbattuta dal picconiere e trasportarla, con gambette incerte, all'esterno, attraverso lunghi ed oscuri camminamenti. Si alzava presto al mattino e ancora assonnato doveva iniziare il suo calvario che durava ininterrottamente per dodici ore, ripetendo 16-20 volte la stessa strada. Terminata la fatica quotidiana spesso restava nella miniera e allora:  «aveva ancora da provvedere a prendere 1 'acqua potabile, spaccare la legna, accendere il fuoco, preparare la minestra e sistemare al suo diretto superiore il giaciglio. ..» e non di rado doveva sopportare i maltrattamenti se non la brutalità del picconiere (7).

La docile Cenerentola viveva come un piccolo perseguitato Caruso: «... dovette sgobbare da mane a sera, alzarsi prima di giorno, portar l'acqua, accendere il fuoco, cucinare e lavare. Per giunta le sorelle gliene facevano di tutti i colori. La sera, dopo tante fatiche, non andava a letto, ma si coricava nella cenere, accanto al focolare».

Nessuna mansione domestica potrebbe giustificare un lavoro così gravoso. Cenerentola era un piccolo scaricatore di miniera.

Quando la pietra sulfurea era scaricata fuori della miniera, cominciava il lavoro degli 'sceglitori' che dovevano distinguere .le parti buone dalle cattive e separatamente metterle in diversi vasi». A questa operazione erano spesso addette donne e bambini. I Grimm ci presentano un strana incombenza affidata dalla matrigna a Cenerentola, che vuole andare al ballo: «... Ti ho versato nella cenere un piatto di lenticchie, se in due ore le sceglierai tutte andrai anche tu».

La bambina deve operare una cernita per poter uscire di casa. Benché la matrigna non glielo abbia espressamente comandato e benché le lenticchie siano tutte eguali, la piccina fa una vera selezione, aiutata dagli uccellini del cielo:

«Le buone nel pentolino\le cattive nel gozzino.\Pic, pic, pic, e raccolsero tutti i grani buoni nei piatti».

Ecco che la fanciulla grigia è diventata uno 'sceglitore' minerario.

I materiali selezionati sono a questo punto avviati ai forni.

 

 

 

Cenerentola seduta accanto alla cenere in un angolo del caminetto. Vicino, le sorellastre (illustrazione popolare francese della fine del '700).

A sinistra: preparazione dell'aria quadra (la calcara siciliana) per la colatura dello zolfo o della pece (G. Agricola, De re metallica, 1556)

 

Sublimazione e struggimento

 

Ci avviamo adesso alla descrizione dei processi di separazione e purificazione dello zolfo. In essi distinguiamo due fasi. Nella prima lo zolfo, per azione del fuoco, si distacca dalla ganga e si solleva sotto forma di vapore. Nella seconda si condensa e gocciola e scola verso il basso come elemento nativo.

L'amore corrisponde, in termini chimici, alla combustione, alla sublimazione infuocata. Essa si verifica durante il ballo al Castello, quando il Principe sceglie ed esalta la sua Ballerina; il Principe è il fuoco stesso: è colui che trae lo zolfo di fuori dalla ganga, lo elegge, lo purifica:

«Il principe le venne incontro, la prese per mano e ballò con lei. E non volle ballare con nessun 'altra: non le lasciò mai la mano, e se un altro la invitava, diceva: 'È la mia ballerina '». Cenerentola danzò fino a sera, poi volle andare a casa. Ma il principe disse: 'Vengo ad accompagnarti " perché voleva vedere da dove venisse la bella fanciulla. Ma ella gli scappò e balzò nella colombaia».

Strana fuga verso domestiche altitudini che denota il compimento della sublimazione. La seconda sera si ripete. la stessa scena: «Là c'era un bell'albero alto da cui pendevano magnifiche pere; ella si arrampicò fra i rami svelta come uno scoiattolo e il principe non sapeva dove fosse sparita». Ancora una volta la fanciulla sfugge verso l'alto, si solleva, si volatilizza.

Il terzo giorno la scena è diversa. Lo zolfo ha raggiunto la purezza, dopo due vaporizzazioni, e scola come cera fusa nel fondo del forno per uscire dall'apertura inferiore. La fanciulla si precipita lungo la scala d'uscita. Ma ora non è più un vapore fuggevole, è una massa fusa, una sostanza densa che può essere raccolta e catturata.

Sulla scala rimane una scarpina dorata. La scarpa perduta attesta il passaggio agli Inferi: della stessa Proserpina si narrava che avesse perduta una scarpina fuggendo da Ade.

In termini mineralogici, una scarpina dorata o di cristallo può essere lo splendente cristallo di zolfo che emerge dalla miniera e alla miniera consente di risalire, od anche il dorato schizzo sulfureo che sprizza dalla fessura della calcàra.

 

Grattula -Beddattula

 

La comparsa alla luce della fanciulla-zolfo si trova rappresentata, in metafore di un più evidente segno metallurgico, in una fiaba siciliana, esalante un acre sentore di zolfo e un profumo nuziale di zagara.

Negli assolati altopiani della Sicilia centrale, che hanno conosciuto i piedini di Kore e le ruote del carro di Ade, lo zolfo è estratto in forni all'aperto, le calcàre (nella forma più recente, calcaroni). Si tratta, come abbiamo detto, di piccole aie pendenti, circondate da un muretto, sulle quali si accumula una piramide di pietre sulfuree. Nella parte bassa del muretto si lascia una cavità, detta la morte, murata all'esterno. La piramide pietrosa si accende, a partire dall'alto, e al calore dello zolfo che arde altro zolfo si fonde e, scorrendo tra i sassi ammucchiati, raggiunge l'aia pendente e va a accumularsi nella cella della 'morte'. Quando il minatore sente arrivare lo zolfo fuso pratica un foro nel muretto (trabia) e lo zolfo zampilla all'esterno, ove viene raccolto in forme di legno (8).

In una variante siciliana di Cenerentola, raccontata al Pitrè dalla narratrice analfabeta palermitana Agatuzza Messia, calcara e zolfo fuso fanno da sfondo alla vicenda (9).

 


 

Delle tre sorelle di un mercante, Ninetta, la più piccola è la più bella (ma non la più buona).II mercante parte per un viaggio ed è preoccupato di lasciar le figlie sole.

«...E vossignoria si confonde? - gli disse la grande - Vossignoria faccia la provvista per tutto il tempo che avrà da stare lontano, faccia murare le porte con noi dentro e ci vedremo quando piace a Dio».

Le tre sorelle scelgono così la reclusione tra le mura, come pietre sulfuree.

Al padre, le due sorelle maggiori commissionano abiti splendenti e la piccina un bel ramo di datteri in un vaso d'argento. Questi datteri dànno il nome alla fiaba che appunto si chiama Gràttula- Beddàttula (Dàttero-Beldàttero).

In un intermezzo, che manca nella Cenerentola, Ninetta si cala in un pozzo dal fondo del quale accede ad un magnifico giardino «con ogni sorta di fiori, alberi e frutti. Là il Reuzzo del Portogallo la intravede e se ne innamora. Per ritrovarla organizza tre giorni di feste a palazzo invitando tutte le ragazze del reame. Ninetta dice di non voler andare, ma quando le sorelle sono uscite si rivolge al suo ramo di datteri e ne ottiene uno splendido abito d'oro e

una carrozza con cui fila a palazzo. Il reuzzo la riconosce e la invita a ballare. Tra i due ballerini si svolge questo strano dialogo-indovinello:

«Signura, comu stati?». «Comu 'mmernu».

«Comu vi chiamati?». «Cu lu nnomu». «Unn' abitati?».

«Nna la casa cu la porta». «Nna quali strata?»

«Nna la vanedda di lu pruvulazzu». «Chi siti curiusa! mi faciti mòriri». «Putiti cripari!».

Traduce Pitre: «Signora come state? -Come inverno. -Come vi chiamate? - Col nome - Dove abitate? -Nella casa colla porta - In quale via? - Nella via del polveraccio -Come siete strana! Mi fate morire! - (Per me) potete crepare! -.

Ninetta balla tutta la sera «fino a lasciare il reuzzo senza fiato, mentre lei era fresca come una rosa. Si va chiarendo il gioco delle parti: mentre Ninetta resta imperturbabile come il muretto della calcara, il reuzzo si va fondendo come zolfo infocato. Ciò si ripete per altre due sere:

«La terza sera, tutto come prima. Nina andò a palazzo così bella e splendente come non era mai stata. Il Reuzzo ballò con lei ancora a lungo, e si squagliava d'amore come una candela».

«A guisa di cera disfatta», dice Agricola dello zolfo fondente.

Qui il re padre chiama Nina al suo cospetto e la rimprovera:

«Ma cosa ho mai fatto, Maestà?» «Hai fatto che mio figlio si consuma per te. Non credere di fuggire».

L'indomani il reuzzo e Ninetta si sposano nella cappella reale.

In questa fiaba manca la scarpetta perduta. Infatti la parte dello zolfo è passata al principe, che la ragazza fa fondere «si squaglia d'amore come una candela» ) e scolare verso la Morte «Mi fate morire»).

 

La pioggia d'oro

La fiaba di Cenerentola è affrescata su un fondo grigio - cenere, dipinto e coperto di pennellate d'oro, che delineano la figura della più buona delle fanciulle. La pittura aurea su fondo scuro, come in una delicata icona bizantina, rappresenta l'uscita dalla tenebra, la vittoria splendente del sole sulla caverna, del cielo sugli inferi, dell'oro alchemico sulla materia infame.

Cenerentola all'uscita dall'oscurità è coperta di un «abito d'oro e d'argento» (Grimm) o di «vestiti di broccato d'oro e d'argento» (Perrault). Nella favola dei Grirnm oro e argento piovono dall'alto, come luce, offerti da un uccellino e calanti da una pianta di nocciolo. Grida Cenerentola:

«Piantina, scuotiti, scrollati d'oro e d'argento coprimi».

Come poteva una piantina piovere polvere d'oro, e convertire una palandrana grigia in un principesco abito d'oro? Il rametto che il padre aveva portato a Cenerentola, di ritorno dal suo viaggio era di nocciolo. La piccina lo aveva piantato presso la tomba della madre e lo aveva annaffiato di lacrime: «il ramo crebbe e divenne una bella pianta», pronta a soddisfare i desideri della fanciulla virtuosa e pia.

Reca il nocciolo fiori femminili in mazzetti di colore rosso vivo. I fiori maschili scendono, alla fine dell'inverno, come ghirlande di minuscole corolle rosse, come penduli grappoli, che i botanici chiamano 'amenti' o 'gattini'. Quando viene la primavera, si verifica un fenomeno meraviglioso (10). Gli innumerevoli fiorellini schiudono le)oro piccole corolle e si liberano nell'aria nuvole di giallo polline che scendono verso il suolo: botanica pioggia d'oro che copre la fanciulla scendendo dalla piantina scossa e scrollata (11).

 

Il ratto di Proserpina, (part.) olio su rame di J. Heinz il vecchio (1564-1609)

 

 

Nella fiaba Gràttula-Beddàttula, l'alberello di nocciolo di Cenerentola è sostituito da un ramo di datteri (gràttula). Il dattero produce un dolce liquido miele, dal colore ambrato, che bene configura lo zolfo colante dal calcarone e la

pioggia d'oro. Nina si rivolge al suo ramo: «Gràttula-Beddàttula Sali su e vesti Nina. Fàlla più bella di com 'era prima»

La colatura del dattero è episodio centrale nella fiaba, che dal frutto della palma prende il nome. Il portento avviene col tramite di fate e fate, portanti vesti e gioielli, e il risultato è che la fanciulla diventa «un pezzo d'oro» dalla testa ai piedi, come una statuetta stampata e dorata.

Antica, divina e solenne è la pioggia d'oro che inonda il grembo della principessa Danae. La fanciulla, figlia del re di Argo, è stata rinchiusa dal padre in una cella sotterranea, perché, segregata dal mondo, non possa concepire un bambino. La vergine sarà fecondata da una luce divina calante dall'alto, da una pioggia d'oro schizzante attraverso il tetto della cella sotterranea. Ella raccoglie nella sua veste la pioggia d'oro e da essa spunta Zeus, il padre degli dèi, con cui la vergine concepisce un figlio quasi divino, Perseo. Tutte queste fiabe e leggende richiamano lo sgorgare dello zolfo fuso dalla cella della Morte. In una fiaba tedesca, sempre nei Marchen dei Grimm, il riferimento si fa palese. Accanto allo zolfo cola dalla porta forata la sua controparte oscura, il bitume. Come lo zolfo è dono e premio per lo zelo e la dolcezza, il bitume è castigo per la pigrizia e lo sgarbo. È la fiaba de La Signora Bolle in cui la pioggia d'oro (o di pece) è il motivo centrale verso il quale tende la vicenda e con cui si conclude: «Una vedova aveva due figlie, l'una bella e laboriosa, l'altra brutta e pigra. Ma ella preferiva molto quest 'ultima, perché era la sua figlia vera, e all'altra toccava tutto il lavoro, come alla Cenerentola di casa».

La prima «pioggia» che la bambina buona riceve, cade da un albero carico di mele, che le grida: « 'Ah, scuotimi, scuotimi! Noi mele siamo tutte mature. Ella scosse l'albero e cadde una pioggia di mele».

E noi sappiamo che le mele mitiche sono pomi d'oro.

Giunta alla casa della signora Holle, il castello (o forno) di questa fiaba, la fanciulla riceve una strana richiesta:

«Devi soltanto badare a rifarmi bene il letto e a sprimacciarlo con cura, sì che le piume volino. Allora nevicherà sulla terra. Io sono la signora Holle» (12).

Soave, morbida e bianchissima questa è la seconda pioggia, di diafano oro bianco.

Dopo una lunga permanenza in casa della Signora Holle, la bambina comincia a sognare la sua casetta. La sua urgenza si esprime come lo struggimento dello zolfo che spinge sulla porticina murata per uscire:

«Finalmente disse alla vecchia: 'Rimpiango la mia casa; e, benché qui stia bene, non posso più fermarmi, devo tornare dai miei».

La signora Holle disse: 'Mi piace che tu ti strugga di tornare a casa; e poiché mi hai servito così fedelmente, voglio riportarti su io stessa '. La prese per mano e la condusse davanti a un portone, e mentre la fanciulla era là sotto, cadde una gran pioggia d'oro, e l'oro le rimase attaccato e la ricoprì tutta».

Siamo sulla porta murata del calcarone da cui spilla come cera disciolta lo zolfo fuso. Lo zolfo è la bambina stessa, che prima si strugge nel forno, poi diviene pioggia d'oro e, uscita all'aperto, si converte in bimba d'oro:

«Il portone fu chiuso e la fanciulla si trovò sulla terra, non lontano dalla casa di sua madre; e quando entrò nel cortile, il gallo sul pozzo strillò: “Chicchirichì! La nostra bimba d'oro è ancora qui”». Qui dobbiamo rammentare quanto dice Agricola a proposito del grassume che esce dal pietrame combusto:

«Cotal grassume sendo giallo mostra che è zolfo, ma se è bitume, egli è nero a guisa di pece».

Torniamo ora alla sorella cattiva della Cenerentola dorata. Anch' ella si reca alla casa della signora Holle:

«La signora Holle se ne stancò presto e la licenziò. La pigraccia era ben contenta e si aspettava la pioggia d’oro, la signora Holle condusse anche lei al portone, ma quando la ragazza fu là sotto, invece dell’oro le si rovesciò addosso un gran paiolo di pece. “questo per i tuoi servizi”, disse la signora Holle, e chiuse il portone. allora la pigrona andò a casa, ma era tutta coperta di pece; e il gallo nel pozzo al vederla gridò: “Chicchirichì! La nostra bimba sporca è ancora qui».  

 

 

Note

(1) La latina Proserpina. Kore è la “fanciulla”, prima del ratto ad opera di Ade. .

(2) Di Cenerentola sono note 345 varianti (dal 1544 al 1892). qui riportiamo la versione dei fratelli Grimm e quella di Charles Perrault. dove non indicato i brani sono tratti dalla novella dei Grimm.

(3) Si trova tra le fiabe dei Grimm ed in una versione italiana: Belinda e il mostro.

(4) La leggenda narra che Proserpina fu rapita sulle rive del lago di Pergusa (5 km. a sud di Enna).

(5) È probabile che nella calcàra non si abbia nessuna fusione diretta dello zolfo. Questo verrebbe prima trasformato in vapore (sublimazione) e poi condensato e liquefatto.

(6) E. Canseliet, L’alchimia, vol. 1, ed. mediterranee, Roma 1985, p. 64.

(7) P. Montini, Il minatore siciliano dal 1860 al 1960. Riv. Servizio Minerario, Dir. Gen. Miniere, Roma 1961.

(8) La massa fusa, che urge dietro al porta della caldàra e improvvisamente zampilla fuori per essere raccolta in una forma (gàvita), richiama l’esperienza sessuale maschile.

(9) È la favola di Gràttula-Beddàttula. Pitré. Studi di leggende popolari in Sicilia (1870-1915), Forni, Bologna.

(10) È primavera. Proserpina esce alla luce.

(11) Una “pioggia d’oro” minerale si ottiene dalla sfarinatura del solfuro di arsenico, od orpimento (auri pigmentum di Plinio), che deriva dall’esposizione alla luce nelle dorature delle icone.

(12) «Perciò in Assia – annotano i Grimm – quando nevica si dice: “La signora Holle si rifà il letto”».

 

 

NOTA : All'interno di Airesis, sono pubblicati due altri interventi di Giuseppe Sermonti sull'interpretazione alchemica delle fiabe:
- Giuseppe Sermonti, Cappuccetto rosso o il mercurio
- Giuseppe Sermonti, Biancaneve e i Sette Nani, una fiaba d'argento

Di Giuseppe Sermonti, in Airesis, sono stati pubblicati i seguenti interventi di divulgazione scientifica ed epistemologica:
- Giuseppe Sermonti, Dopo l'uomo la scimmia
- Giuseppe Sermonti, Domine Non Sum Dignus
- Giuseppe Sermonti, L'Armonia del DNA
- Giuseppe Sermonti - La biologia Strutturale
- Giuseppe Sermonti - Entropia ed Evoluzione

Su Giuseppe Sermonti e sulle sue posizioni critiche in campo scientifico ed epistemologico Airesis ha pubblicato: 
- Stefano Serafini, Antievoluzionismo e riduzionismo: certezze scientifiche, Abelardo e Giuseppe Sermonti


Per ogni ulteriore approfondimento si segnalano i seguenti links esterni:

- Giovanni Monastra, Politica, bio-business e scienza, il caso italiano di Giuseppe Sermonti
- Giuseppe Sermonti, L'Uomo in rivolta e il Mito dell'Evoluzionismo

Sempre allì'interno di Airesis, nella sezione delle Recensioni, di Giuseppe Sermonti sono recensiti:

- Fiabe di Tre Reami /La Danza delle silfidi (ed. La Finestra, Trento 2004)
- Il Crepuscolo dello Scientismo (ed. Nova Scripta, Genova 2002)

 

 

 

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