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il verso e l'anatema

Walter Catalano

 Giuseppe Gorlani Anatema , ed. La Finestra, Lavis 2000, pag. 110, 10 euro

 

 

Il significato più comune attribuito alla parola “anatema” è quello cristiano: l’anatema è la maledizione, l’esposizione alla pubblica esecrazione, la scomunica degli eretici che li pone violentemente fuori dalla comunità. Ma il senso originario greco del termine è “offerta votiva”: l’offerta ad un dio deposta nel tempio e quindi sacra.

Questa ambivalenza semantica rispecchia la duplicità propria a tutte le ierofanie e cratofanie: “sacer” e “haghios” esprimono contemporaneamente l’dea di purezza e contaminazione, di maledizione e di santità. Impurità e consacrazione esulano entrambe radicalmente e scambievolmente dall’esperienza profana. Il “mana”, la potenza e l’efficienza, è attivo tanto per benedire che per maledire; il “tapas”, il calore e l’energia della macerazione, scuote le basi della dimora degli dei.

Il libro di Giuseppe Gorlani fin dal titolo rivela l’essenza sacra e/o maledetta ma comunque recisamente altra rispetto ai criteri profani – “borghesi”, diremmo secondo una diversa categoria – di un percorso esistenziale condiviso da molti: il lavacro delle “acque corrosive”. Scritto nel 1969, il testo manifesta - nella testimonianza individuale dell’autore –  quella tortuosa e labirintica esperienza, collettiva ed epocale, che fu di tutta una generazione: la fuga dal conosciuto - la “pianura […] spaventosa, contorta ed elementare” – e l’“avvicinamento” (inteso in senso juengeriano) all’Altrove: l’Oriente geografico e l’India e  soprattutto quell’Oriente interiore che prelude al risveglio.

Il senso di disagio e di nausea profonda per “le note cacofoniche ed effimere d’un mondo in rovina” è il solvente alchemico che, potenziato dalle sostanze psicotrope e dall’ispirazione poetica, trasfigura “una casa sospesa su un gigantesco raccordo autostradale, […] su un’umanità obnubilata” in un’osservatorio proteso verso “le porte del tramonto”. Oltre quel punto si compie la “nigredo”, si arresta la deriva negativa e dissolvente: la coagulazione di nuove energie promette il passaggio alla fase successiva. Nell’eco gigantesca e solenne della stagione all’inferno rimbaudiana, Gorlani pronuncia la sua definitiva abiura: “Rinnego totalmente l’occidente, questa parte del mondo in cui regna la fretta e dove gli uomini vivono le proprie vite come carni da macero […] patria di centenarie generazioni d’ombra, su di essa io sputo e sopra la sua carcassa di vecchie e ridicole glorie, in attesa di andarmene lontano”.

Il percorso individuale dell’Autore, il suo “andare lontano”,  oltre i confini della testimonianza poetica, condurrà ad un salto di livello metafisico – l’incontro con l’insegnamento dell’India ed il perseguimento della via di Shiva il Signore - ed ad un “nostos”, il ritorno mitico dell’eroe che ha trasmutato sé stesso. Non altrettanto si può dire di tanti compagni di viaggio - figli dei fiori, beatniks, psiconauti e refrattari utopisti degli anni ’60 – persi per strada e mai più tornati o, come Rimbaud, tornati solo per morire delle proprie cancrene.  Forse anche in nome di questi perduti, l’esperienza di Gorlani - pacificato dopo aver assaporato l’anatema fino in fondo, volgendo la “maledizione” in “offerta votiva “– giustifica quella controversa stagione della nostra storia e ne testimonia la fondamentale positività negli echi senza tempo delle voci di coloro che hanno soprattutto cercato l’Assoluto.  

 

 

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