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� � PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (5)
DALLA RIFORMA DELLA CHIESA AL Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei � |
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Nell'XII secolo, di fronte alla dilagante corruzione del clero, si assiste a una sempre maggior esigenza di ritorno alla semplicit� evangelica. Sono soprattutto i laici. esclusi da ogni ruolo attivo nell'economia salvifica cristiana, i pi� sensibili, divenendo cos� terreno fertile per le eresie di tipo patarinico; condanna del clero corrotto, �sciopero liturgico�, abolizione della stessa gerarchia ecclesiastica: queste le istanze degli eresiarchi che seppero farsi interpreti di un laicato indignato e deluso.
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La lotta per le investiture, con il suo avvicendarsi di esiti favorevoli ora ai riformisti della Curia romana ora al disegno egemonico della parte imperiale, aveva messo in luce quello che era in realt� il nodo centrale del dissidio tra i due poteri: entrambi ecumenici, erano entrambi portati ad invadere le competenze proprie dell'altro, perch� di fatto �non esisteva una sfera religiosa e una laica, un mondo sacro e uno profano: si viveva in "una sola societ�, cio� la Chiesa, dove tutto si amalgama", come si sarebbe espresso di l� a qualche decennio Ottone di Frisinga� (Cardini). La Pataria non era stata, dunque, che uno dei possibili strumenti adottati da Roma al fine di pervenire all'emancipazione dapprima e all'affermazione poi della propria superiorit�, cos� come questa era stata teorizzata da Gregorio VII si � parlato di tradimento della riforma gregoriana ed anche, in forma volutamente paradossale, si � imputato alla Chiesa di essere stata la causa indiretta della nascita delle eresie, non avendo di fatto introdotto un recupero del ruolo attivo dei laici nell'economia salvifica cristiana ed avendo invece favorito ed istituzionalizzato l'approfondimento del solco tra laicato e clero. |
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D'altra parte, sia Pier Damiani sia lo stesso Gregorio, per quanto pronti ad avvalersi dell'aiuto della parte laica, non avevano mai inteso concedere ad essa un'autonomia o addirittura la possibilit� di surrogare nelle funzioni il clero indegno. La lotta condotta dalla Curia romana si colorava di tonalit� moralizzatrici ma aveva come obiettivo primario l' emancipazione del clero dalle intromissioni del potere politico. Che l'appoggio ai laici fosse strumentale e definito nel tempo e non una scelta socio-religiosa di lungo momento � dimostrato da episodi posteriori ai fatti milanesi, nei quali notevole fu la parte avuta dalla componente laica popolare ma che ebbero esiti ben diversi da quelli registrati per la Pataria. Se ancora nel 1076-77 Gregorio VII minacciava di scomunica coloro che si erano resi colpevoli della morte di un certo Ramirdo di Schere, il quale aveva rifiutato di ricevere l'eucarestia da sacerdoti simoniaci, ben diverso sar� l'atteggiamento che la Chiesa, ormai assestatasi su posizioni di primato e non pi� tormentata dall'affannosa ricerca della propria autonomia, assumer� nei confronti di Tanchelmo di Anversa, dei fratelli Clemente ed Everardo, di Pietro de Bruis, del monaco Enrico e soprattutto di Arnaldo da Brescia. Le esperienze di costoro, a volte singolari e quasi sempre tragiche, testimoniano come il desiderio di riforma morale non fosse rimasto patrimonio esclusivo della Pataria ma costituisse uno degli elementi informanti la spiritualit� dei secoli XI e XII. � |
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Ne fa fede la compresenza di analoghi fenomeni in diverse parti di Europa, fenomeni la cui somiglianza alle tematiche patariniche non legittima tuttavia l'ipotesi di una diretta filiazione, come l'espressione attualizzante ma non felice di �euro- pataria�, da taluni usata, potrebbe lasciare intendere. Ma procediamo per ordine. Agli inizi del 1100, ad Anversa nelle Fiandre, un laico di nome Tanchelmo riesce a convogliare su di se l'attenzione di contadini, marinai e donne. La sua predicazione si modula su pochi stilemi per� significativi e di facile presa: aperta condanna del clero corrotto e simoniaco e rifiuto dei sacramenti ritenuti non validi perch� amministrati da sacerdoti indegni. Tanchelmo, addirittura, sembra si sia autoproclamato Dio, si sia circondato di un vero e proprio esercito e sembra anche che l'acqua delle sue abluzioni venga conservata dai seguaci come fosse benedetta e dotata di poteri taumaturgici. I canonici di Utrecht, nell'invitare l'arcivescovo di Colonia a por fine a un siffatto scandalo, parlano addirittura di un blasfemo fidanzamento di Tanchelmo con una statua della Madonna: �Ecco� disse - o carissimi, mi sono fidanzato con la Vergine Maria. Fatemi voi, ora, i regali di fidanzamento e pensate alle spese del matrimonio�. E poste due cassette ad entrambi i lati della statua disse: Qui depongano le loro offerte gli uomini, l� le donne. Adesso potr� vedere quale dei due sessi nutre un amore pi� intenso nei confronti miei e della mia promessa sposa�. Cerimonia irriverente, sembrerebbe codesta, ma attenzione all'esito: �Ed ecco che, a gara, la gente, completamente pazza, si precipita con doni e offerte. Le donne gettano orecchini e gioielli. E cos�, con un rituale assai oltraggioso, egli ammucchi� un 'enorme somma di denaro�. Che significato dare a tutto ci�? Tanchelmo si ammanta di una simulata santit� per carpire la buona fede dei seguaci ed arricchirsi alle loro spalle - non differenziandosi dunque da quel clero che accusa di essere corrotto - oppure � l'invidia che rende cos� solleciti ed astiosi i canonici che si sentono depauperati da un laico? Non lo sappiamo: forse l'una e l'altra cosa insieme o forse � solo lo zelo d'ortodossia a spingere i canonici. Sta di fatto che nel 1115 Tanchelmo muore per mano di un sacerdote. Con Clemente ed Everardo cambia lo scenario ma non cambiano gli stilemi. Nel 1114 questi due fratelli, contadini di Bucy-Le-Long vicino a Soissons, rivolgono la loro predicazione alle genti della campagna, richiamandosi, quale auctoritas, agli Atti degli Apostoli, in cui trovano la legittimazione dell'ascetismo rifuggente da ogni contatto carnale, quale quello ch'essi van sostenendo. Anche per Clemente ed Everardo il bersaglio - ed � ci� che pi� li accomuna al milieu riformistico - resta il clero corrotto ( "Chiamano bocca dell�inferno la bocca di ogni sacerdote", ci dice l'abate di S. Maria di Nogent, Guiberto) e conseguentemente i sacramenti da questi amministrati. E sono tanto incolti, i due fratelli, da interpretare la frase evangelica �Beati eritis �� (sarete beati) come �Beati gli eretici� e da credere anche �che gli eretici si chiamassero cos� quasi a voler significare che erano indubbiamente eredi di Dio...� Nel sottolineare questo aspetto, Guiberto rivendica al proprio status la legittimit� del predicare e della raccolta delle elemosine, legittimit� derivante dal carisma religioso e soprattutto dalla superiorit� culturale; un atteggiamento, questo, che troveremo presso che identico, un secolo e mezzo pi� tardi, nel francescano Salimbene de Adam, quando questi accuser� il �rozzo� Gerardo Segarelli, il precursore di Fra Dolcino, di indebita intromissione nelle cose della Chiesa da parte di chi pretende di predicare e fruire delle elemosine nonostante la propria plateale inferiorit� culturale . Un po' sospetta la testimonianza di Guiberto lo � anche per un altro motivo. Egli infatti ci dice che clemente ed i suoi si recano da una donna che mostra loro le natiche messe a nudo; dopodich� �spengono le candele e da ogni parte urlano 'caos' , ed ognuno si accoppia con la prima persona che gli capita a tiro...". Se poi da siffatti amplessi nascer� una creatura, essa verr� uccisa, bruciata e con le sue ceneri si impaster� un pane che sar� distribuito tra i fedeli a mo� di eucarestia. Una liturgia che abbiamo gi� visto attribuita agli eretici di Orl�ans,� ad eresie dei primi secoli � gli Gnostici accusati da S. Epifanio � nonch� ai cristiani dei primi tempi e che, divenuta topos della polemistica antiereticale, ritroveremo nei secoli successivi. Sicch� proprio l�impiego di un tale stereotipo �colto� e suffragato da tante �auctoritates� non pu� non indurre qualche perplessit� circa l�effettiva attuazione di siffatte modulazioni orgiastiche da parte di due contadini del Soissons. Comunque, vera o non vera che fosse l�accusa rivolta ai due fratelli, essi furono sottoposti dal vescovo al giudizio di Dio; Clemente, messo in una botte, venne gettato in acqua e, per sua disgrazie, poich� invece di affondare galleggi�, il fatto fu considerato indizio di colpevolezza ; Everardo, invece, si riconobbe colpevole ed entrambi allora, furono imprigionati in attesa di regolare processo. Ma ormai il popolo aveva visto nell�ordalia il segno della volont� divina e, approfittando di una momentanea assenza del vescovo e �temendo un�eccessiva indulgenza da parte del clero... prese gli� eretici e acceso un rogo fuori dalla citt� ve li fece bruciare�. Un rogo purificatore, dunque, come almeno appare nella chiusa di Guiberto: �Il popolo di Dio era giustamente sdegnato contro di loro poich� temeva che il loro cancro si propagasse�. �Ma la soddisfatta constatazione dell�abate sar� presto disillusa, in quegli stessi anni, dalla fortuna di un altro predicatore.� |
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L�eresia di Pietro de Bruis nella testimonianza di Pietro il Venerabile. ����������������Il primo articolo degli eretici nega che i bambini non ancora in et� della ragione si salvino grazie al battesimo di Cristo, e che la fede di altri possa giovare a loro che non sono in grado di praticare la propria; dal momento che, a loro parere non la fede di un terzo, ma la propria con il battesimo d� la salvezza... Il secondo articolo afferma che non si devono costruire nuovi templi e nuove chiese, ma che � anzi necessario demolire quelli gi� esistenti; ai cristiani non necessitano luoghi sacri per pregare, perch� Dio presta ugualmente attenzione se invocato in una bettola e in una chiesa, in una piazza e in un tempio, davanti a un altare o davanti a una stalla, ed esaudisce chi ne � degno. Il terzo articolo ordina di distruggere e bruciare le sacre croci, perch� quell�immagine � strumento con cui Cristo fu cos� atrocemente torturato, cos� crudelmente ucciso, non � degna di adorazione, di venerazione o di preghiera alcuna, mentre per vendicare i tormenti e la morte da Lui patiti, si dovrebbe disprezzare con ogni possibile ludibrio, fare a pezzi con le spade, bruciare con il fuoco. Il quarto articolo non solo nega la realt� del corpo e del sangue del Signore, ogni giorno offerto grazie al sacramento eucaristico nella Chiesa, ma ritiene che non abbia assolutamente alcun valore e che non si debba offrire a Dio. Il quinto articolo irride alle offerte e ai sacrifici, ale preghiere, alle elemosine e alle altre buone opere fatte dai fedeli in vita per i fedeli defunti, ed afferma che esse non possono giovare ad alcun morto, neppure in minima parte.� � |
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Arnaldo da BresciaE' chiaro come un siffatto discorso esorbiti di gran lunga dagli schemi classicamente patarinici. Se nella Pataria la contestazione era rivolta al solo clero concubinario e simoniaco e condotta con l'appoggio delle forze �sane� della Curia e dei nuovi ordini - quale quello vallombrosiano -, ora il rischio che si corre � quello di teorizzare l'ininfluenza o meglio la non necessit� di una gerarchia titolare di poteri carismatici esclusivi. Ed � significativo il fatto che l'attacco forse pi� violento che, nella prima met� del XII secolo, viene portato alla Chiesa, sia condotto nella stessa sede papale, a Roma, da un italiano di Brescia, Arnaldo, che pur doveva aver recepito, anche se non vissuto personalmente, l'affiato patarinico. �La tormentata e tragica vicenda del canonico bresciano Arnaldo riveste un valore esemplare, un coagulo di tensioni religiose, di attese inascoltate, di travaglio e di crisi della Chiesa, che sembra incapace di abbandonare i tentennamenti e le resistenze per imboccare con decisione la via di una profonda riforma� (Paolini). Un'anima inquieta quella di Arnaldo? Forse no; certo un'anima che produce inquietudine, disagio, malessere. � un uomo che, secondo l'immagine che di lui offrono i suoi stessi nemici, non risparmia nulla agli altri perch� non risparmia nulla a se stesso. � |
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Nel 1139 Innocenzo II deve intervenire per inibirgli ogni attivit� ed espellerlo dalla citt� natale in seguito all'aperto scontro che l'aveva contrapposto al vescovo. Lascia Brescia per Parigi, dove l�amicizia, o� meglio il discepolato del magister Abelardo lo rende, assieme a quest'ultimo, bersaglio degli strali di S. Bernardo. Abelardo accetta il silenzio che a Sens, dov'era stato convocato, gli viene imposto; Arnaldo invece preferisce parlare, continua ad insegnare teologia, e lo fa anche se gli manca la profondit� speculativa del suo maestro, rispetto alla cui indagine teologica mostra di preferire temi quali la povert� e la vita evangelica; e poveri sono i suoi studenti. San Bernardo per� non desiste e riesce, esercitando pressioni sul re di Francia, a far s� che Arnaldo lasci Parigi per rifugiarsi dapprima a Zurigo poi presso il legato papale in Moravia. L' accoglienza del legato lascia intendere che non � tanto ci� che Arnaldo predica quanto la sua ostinazione a turbare personalit� quali Bernardo, da tutti invocato quale nume tutelare dell'ortodossia cattolica. Seguono cos� alcuni anni di silenzio che si romper� clamorosamente quando Arnaldo, recatosi a Roma in pellegrinaggio, entrer� in diretto contatto con la realt� della Curia, con una realt� che egli giudicher� in osceno contrasto con il rigorismo evangelico. Il successo ottenuto dalla sua predicazione � il frutto di varie e disparate componenti di cui la pi� significativa � quella politica. Gi� nei primi anni quaranta del XII secolo a Roma c'era stata una ribellione da parte dei ceti pi� abbienti contro lo strapotere della Curia che inibiva qualsiasi possibilit� di autonomia alla componente laica. I rapporti tra romani e pontefice erano decisamente tesi. Al desiderio di autonomia comunale il papa aveva risposto duramente ed ai �ribelli� non era restato che giocare tutte le carte possibili, ivi compresa quella dell'aiuto imperiale, ch'era stato sollecitato nel ricordo di una Roma antica, nel nome di un mito cui avevano aderito �uomini di cultura, giudici e funzionari e uomini di quel ceto che dall' orientamento imperiale e non pi� papale di Roma, spera nuova dignit� e onori e ricchezza e uomini infine di religione� (Frugoni). In siffatto clima il radicalismo riformatore di Arnaldo diviene uno dei possibili strumenti, atto com'� a sollecitare l'appoggio del basso clero, della plebe e dell'elemento muliebre contro lo strapotere della gerarchia. Ma Arnaldo � pi� una pedina che non il tribuno di una plebe ribelle ed i giochi sono fatti altrove e da altri. E cosi basta l'avvicinarsi della Pasqua del 1155, la minaccia d'interdetto sulla citt�, con la conseguente perdita dei benefici economici derivanti dall'afflusso dei pellegrini, perch� la �repubblica� romana si accordi con il pontefice ed espella Arnaldo, la cui presenza in citt� non pu� che produrre motivo di disagio. Non solo; ma il neo eletto imperatore, Federico I Barbarossa, aspira con troppa brama alla consacrazione imperiale per poter consentire che un individuo possa creargli difficolt� nei suoi rapporti col pontificato. Per cui, catturato dall'imperatore, Arnaldo viene consegnato ai cardinali di Adriano IV ed il prefetto di Roma, della Roma nuovamente riappacificata col suo �dominus�, provvede ad impiccarlo, a bruciarne il corpo e a spargerne le ceneri nel Tevere e il Barbarossa pu� tornarsene oltralpe debitamente consacrato. Ancora una volta superiori ragioni di opportunit� politica frustravano le legittime esigenze di coloro che, vivendo del messaggio evangelico, non potevano osservare impassibili lo sfarzo e lo sperpero della Curia. � |
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Arnaldo da Brescia visto da Ottone, vescovo di Frisinga e zio di Federico I Barbarossa. �Arnaldo, originario dell�Italia della citt� di Brescia, e chierico con l�ordine soltanto di lettore nella stessa Chiesa, un tempo aveva avuto come maestro Pietro Abelardo. Era certamente uomo non ottuso di mente, ma tuttavia era pi� abile parlatore che non profondo pensatore. Era amante di originalit�, avido di novit�, come sono spesso le menti di tali uomini, inclini a suscitare eresie, scismi e tumulti... Denigratore del clero e dei vescovi, persecutore dei monaci, adulava soltanto i laici. Diceva infatti che n� i chierici che avevano propriet�, n� i vescovi che avevano diritti regali, n� i monaci possidenti potevano salvarsi per nessuna ragione. Tutto ci� apparteneva all�autorit� civile, che doveva concederle in beneficio ed uso soltanto ai laici.... Come seppe che Innocenzo II era morto agli inizi del pontificato di Eugenio III ritorn� a Roma, e trov� la citt� in piena rivolta contro il proprio pontefice. E non volendo seguire il consiglio dell�uomo sapiente che a tal proposito dice: - non ammucchiare legna sul fuoco � (Eccl. 8,3) foment� ancor pi� la ribellione. Esalt� il ricordo degli antichi romani, che, con la prudenza e il consiglio del senato e con la� disciplina e l�integrit� del coraggio dei giovani, sottomisero a s� tutto il mondo, e cos� predic� che si doveva ricostruire il Campidoglio, reintrodurre la dignit� senatoria, rifondare l�ordine equestre. Niente del governo di Roma avrebbe dovuto spettare al pontefice; a lui dovevano bastare le questioni pi� propriamente ecclesiastiche. � |
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La morte di Arnaldo nella testimonianza di un anonimo coevo. �� Ma la lingua di cos� duro maestro, non si trattiene dal diffondere il solito errore, dal mordere con dente avvelenato ancor pi� duramente la Chiesa romana, e dall�insegnare al popolo le sue opinioni contrarie al papa. Arnaldo, denunciato allora al re Federico, viene imprigionato per essere giudicato dal prefetto di Roma. Il sovrano ordina a questi di giudicare la nota causa, e il dotto maestro viene condannato per il suo insegnamento. E mentre osservava i preparativi del suo supplizio e si avvicinava il momento fatale gli venne posto il laccio al collo. Richiesto se volesse abiurare la sua empia dottrina e confessare le sue colpe, come fanno i saggi, intrepido e sicuro di s� da destar meraviglia, rispose che la sua dottrina gli pareva sana, e che non temeva di subire la morte per le sue parole, nelle quali non c�era niente di assurdo e di nocivo. Chiese un attimo di tempo per pregare, dicendo di voler confessare le sue colpe. Allora, inginocchiatosi e con le mani e gli occhi rivolti al cielo, gemette sospirando dal profondo del cuore e in silenzio preg� col pensiero il Dio dei Cieli, raccomandandogli l�anima. Poco dopo, abbandon� il suo corpo alla morte, pronto a subire con animo forte la pena di morte. Anche i littori, presenti all�esecuzione, piansero, commossi per un attimo. Infine penzol� sospeso al cappio. Si dice che il re, troppo tardi impietositosi, si addolor� per quella morte. |
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Gli Arnaldisti
Si potrebbe chiudere qui l'esperienza di Arnaldo, se non fosse che
ancora; verso la fine del secolo, si continuer� a parlare di
Arnaldisti, attribuendo loro tutta una serie di affermazioni che, pur
se consequenziali a certe tematiche del Bresciano, non necessariamente
erano state da questi fatte proprie. La mancanza di scritti di Arnaldo
rende difficile definirne l'esano pensiero ma non pensiamo d'essere
lontani dal vero accogliendo come determinante di tutta la sua azione
una letterale e ferrea adesione all�istanza pauperistico-evangelica,
sostenuta con un 'animosit� e una convinzione che potrebbero aver
sfiorato quasi il fanatismo.
Nella
Manifestatio haeresis Catharorum, l'abiura del cataro milanese
Buonaccorso, alla fine del secolo XII, gli Arnaldisti sono accusati di
sostenere il diritto alla predicazione da parte dei laici, l'obbligo
della povert� evangelica, la negazione del diritto di possesso per il
clero, l'inefficacia dei sacramenti conferiti da ministri corrotti.
Tematiche, quest'ultime, che, a dire il vero, nelle fonti coeve ad
Arnaldo ed a lui avverse non appaiono e che lasciano pensare che sotto
il nome di Arnaldisti sia da intravedere uno di quei gruppi - ma
quale? -che, nella seconda met� del 'XII secolo, si ersero in aperto
contrasto e si proposero come alternativa alla Chiesa e che come tali
saranno bollati di eresia.
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Bibliografia
Oltre al lavoro gi� citato di G. G. Merlo, per Pietro de Bruis ed
Enrico si vedano i relativi capitoli in R. Manselli, Il secolo XII:
religione popolare ed eresia, Roma, Jouvence 1983, e L. Paolini,
Eretici del medioevo. L�albero selvatico, Bologna, Patron editore
1989; per Arnaldo resta ancora suggestivo dal punto di vista
metodologico A. Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII,
in Studi Storici, 8-9, Roma. Istituto Storico Italiano per il Medio
Evo, 1954.
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Airesis:
Le Ragioni dell'Eresia | Il Giardino dei Magi
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