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L'unguento magico e il volo notturno delle streghe:

 Ipotesi sulla presenza di riti sciamanici nell'Europa medievale e

 moderna

di  Paolo Portone - storico, saggista

 

  

Hans Baldung, detto Grien, La tregenda (1510 circa)

 

Nei racconti popolari, così come nella tradizione favolistica colta, fino alle più recenti trasposizioni cinematografiche di celebri fiabe, la figura della strega ha di continuo esercitato un ruolo centrale assommando in sé tutte le caratteristiche negative della devianza. Modello di mostruosità e di pericolosità, essa costituisce una sorta di archetipo di tutte quante le forze che incessantemente minacciano la ragione e la integrità individuale.

Parlare della strega è evocare uno spauracchio, materializzare la terrorizzante presenza dei nostri incubi infantili; è al contempo riportare alla memoria situazioni e immagini di una suggestività conturbante: il rituale osceno dell'omaggio diabolico e della danza infernale, le trasformazioni in animali, i cannibalici banchetti a base di bambini e, ancora, le mirabolanti cavalcate notturne in groppa alle scope e su orribili bestie. La presenza quasi ossessiva nella nostra cultura della figura della strega, con il suo corteggio infernale, ha naturalmente attratto l'attenzione degli studiosi del folklore, degli antropologi, un po' meno degli storici di professione. Ancora oggi, quando si tratta di passare dal piano della affabulazione popolare a quello dell'analisi storica della strega, si registrano non poche difficoltà e resistenze da parte dell'accademia. Relegata nei recessi della storia non ufficiale, o comunque tra quegli episodi di irrazionalità collettiva che di tanto in tanto hanno punteggiato lo sviluppo della civiltà europea, la stregoneria continua a essere un grande punto interrogativo, comportando, a parte le diffidenze, non pochi problemi interpretativi.

 Ma cosa si cela in realtà in questi racconti che rappresentano la matrice di tutte le storie possibili e che sono ancora capaci di minare le nostre diurne certezze, facendoci rivivere lo stesso disagio provato da bambini?

In cosa consistette storicamente la figura della strega e quali furono i motivi che indussero le autorità secolari e religiose a punire con la morte centinaia di donne accusate di stregoneria?

Il volo notturno e la tregenda diabolica sono solo il frutto dell'oscurantismo religioso e della superstizione popolare o, al contrario, sono il relitto, grottesco e distorto, di antichissime forme di spiritualità?

Per tentare di dare una risposta a questi quesiti bisogna necessariamente andare a ritroso nel tempo, ai secoli in cui in Europa si consumò la terribile tragedia della caccia alle streghe. Poco ricordato dai manuali scolastici, questo drammatico episodio della nostra storia ha conosciuto solo di recente, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, un certo interesse da parte della storiografia. Oggi, grazie a tali studi, siamo in grado di farci un'idea di cosa significò in concreto la caccia: il numero dei processi celebratisi, l'estensione geografica e temporale del fenomeno sono talmente impressionanti da indurci a considerarlo alla stregua dell'olocausto degli ebrei e di altre minoranze perpetrato nei campi di sterminio nazisti.

 La caccia alle streghe può essere in linea di massima suddivisa in tre fasi.

Una prima ondata persecutoria si scatenò all'indomani della promulgazione della bolla pontificia Summis desiderantes affectibus (1484) e della pubblicazione della "bibbia" dei demonologi e dei cacciatori, il Malleus maleficarum (1486). In questa fase iniziale, durata circa un trentennio, furono principalmente coinvolte la Germania renana, la Stiria, il Tirolo, le Alpi italiane, Bologna e i Pirenei. Tra le punte massime raggiunte dalla persecuzione, vanno ricordati i processi svoltisi a Como e diocesi (nel solo 1485 furono consegnate al braccio secolare, ossia giustiziate, 41 streghe). Dopo una brevissima pausa, la giustizia ecclesiastica e secolare tornò ad abbattersi con rinnovellata ferocia sulle streghe nella seconda metà del secolo decimosesto. Questa volta la palma della intransigenza antistregonica toccò ai paesi protestanti. Nel solo Vaud, una regione di circa 160 parrocchie, tra gli inizi della Riforma e il 1680 ci furono più di 2000 processi per stregoneria, per la maggior parte (circa il 90% dei casi) conclusisi con la condanna a morte delle imputate. L'apice della caccia fu comunque raggiunto nel periodo che va dagli anni '80 del 1500 al 1650. Le regioni interessate furono la Svizzera, i Paesi Bassi, la Francia, la Scozia, gli Stati tedeschi (in particolare Wurzburg, Bamberg ed Ellwangen). Raggiunto il suo acme, la persecuzione andò lentamente scemando, anche se non mancarono dei significativi colpi di coda. Si registrarono infatti, ancora nel XVIII secolo, processi nel Glarus, in Polonia, nella Val Poschiavo, nei domini asburgici e in Germania; in quest'ultima fu celebrato nel 1749 a Wunburg il famoso processo contro Maria Renata Singerin, che diede la stura in Italia e in Europa a un secolo di acceso dibattito sulla realtà della magia e della stregoneria.

La cronologia, la sorprendente estensione e durata hanno indotto alcuni studiosi a rivedere le tradizionali interpretazioni in base alle quali il fenomeno veniva spiegato, in particolare la tesi del capro espiatorio e dell'uso terroristico della tortura da parte delle autorità giudiziarie. E' un dato ormai acclarato che fenomeni analoghi alla caccia non si sono verificati in altre società, culture e civiltà, pur immerse nella ideologia magica, e che sul nostro continente la persecuzione contro una setta di adoratori del male non interessò né l'età classica né, contrariamente alle opinioni comuni, i secoli bui dell'alto medioevo. Per la precisione, fino alla seconda metà del Quattrocento, la persecuzione ebbe un carattere sporadico e limitato (46 processi istruiti dall'Inquisizione fra il 1320 e il 1486). Essa investì aree particolari, soprattutto zone dove era stata attiva la repressione inquisitoriale delle eresie medievali (catari, albigesi, valdesi, fraticelli): la Francia meridionale, il Delfinato, le Alpi occidentali italiane, la Germania superiore, le città e diocesi di Como. La stessa trattatistica demonologica fu tutto sommato ristretta, fatta eccezione per alcune opere di una certa diffusione come il Formicarius scritto nel 1435 dall'inquisitore Jean Nider.

 Alla luce di questi elementi appare dunque evidente che per comprendere le ragioni che produssero il fenomeno persecutorio, la sua estensione temporale e geografica, la sua intensità, non si può prescindere dagli stretti rapporti che lo legano agli aspetti più rilevanti della modernità; a quei mutamenti all'interno di valori e di credenze tradizionali che furono ad esempio all'origine della Riforma protestante, della repressione del pauperismo e del vagabondaggio, della lotta contro la licenziosità e l'irriverenza delle rappresentazioni teatrali, dei balli e delle feste popolari.

Come osserva lo storico Franco Cardini, contemporaneamente alla nascita del capitalismo e alla affermazione di quel rinnovamento culturale comunemente indicato col nome di rivoluzione copernicana, si registrò in seno alla società europea una profonda modificazione dell'involucro ideologico costituito dall'arcaico pensiero magico. La sensibilità urbana, la razionalità calcolante, la dotta ignoranza, la santa intolleranza dei ceti emersi dallo sviluppo della civiltà pre-industriale modificarono dall'interno l'antico sapere, operando una netta divisione tra la cosiddetta magia bianca, appannaggio delle classi dominanti moderne, legittimata dalle autorità secolari e religiose, e quella nera, propria dei contadini e degli abitanti degli "angoli oscuri del continente".

Tra la fine del XV e gli inizi del XVIII secolo, osserva lo storico inglese Charles Webster, la magia bianca (colta, razionale, naturale, cristiana) divenne lo strumento che permise la sopravvivenza del pensiero magico primitivo nel vocabolario degli intellettuali e dell'establishment politico-religioso, mentre la persecuzione di quella nera (contadina, tellurica, orale, sensibile, femminile, diabolica) costituì il mezzo con il quale l'antico retaggio fu adeguato alle nuove esigenze maturate in Europa.

Il fuoco dei roghi illuminò la coscienza dell'uomo occidentale, purificandola da quelle incrostazioni primitive sopravvissute negli interstizi della società medievale. Se la persecuzione interessò principalmente le campagne e i cosiddetti angoli oscuri del nostro continente, ai suoi esiti normalizzatori in campo culturale, psicologico e religioso non furono estranei gli abitanti delle città e le èlites fautrici del nuovo. In tal senso la caccia, rappresentando come scrive Robert Mandrau, la più grande cesura compiuta dalla civiltà occidentale nei confronti del proprio passato silvestre-pastorale-agricolo, contribuì a forgiare le basi noetiche dell'uomo moderno, ridisegnando i confini del suo paesaggio interiore.

Propedeutico alla caccia fu il grande sforzo compiuto dalla demonologia (oggi obsoleto strumento di indagine, ma per secoli disciplina non disdegnata da illustri uomini di cultura e di scienza, quali ad esempio Giovan Francesco Pico della Mirandola, Jean Bodin, Martin del Rio, Tritemius, Lambert Daneau, Benedict Carpzov, Giacomo I d'Inghilterra, Joseph Glanvill) nell'associare le forme più arcaiche e "devianti" dell'universo magico popolare al diavolo cristiano e nel dimostrare non già la realtà del primo, quanto gli effettivi poteri del secondo.

In tal modo, creando i presupposti per la sistematica eliminazione delle forme meno assimilabili di quella cultura e religiosità, i demonologi piegarono nell'onnicomprensiva categoria della stregoneria diabolica, la vitale, originale e autonoma visione del mondo elaborata nei millenni dalla civiltà neolitica.

Grazie alla tortura indiscriminatamente applicata nei confronti delle imputate di stregoneria, ai roghi e alla non meno brutale opera di mistificazione compiuta a livello ideologico, morale e simbolico dai demonologi, il variegato patrimonio di conoscenze, esperienze rituali, culti presenti nelle campagne e negli angoli oscuri, fu costretto nel letto di Procuste dell'immaginario giudaico-cristiano e fissato nello stereotipo del sabba diabolico.

 -... E la dicta untura, nanti che sia perfecta e che faccia il debito, se da al diavolo che la acconci, e cusì se la porta per aliquanti dì e con lo sputo cela benedice e rende. Cusì bisogna che la benedica con lo sputo la nostra patrona tre volte. E cusì poi con dicto unguento ce ongemo dicendo: "Unguento, portame alla noce de Benevento", como che ho dicto, e illi solazamo e jocamo con li diavoli in cose grande, con tanto gran feste, soni, canti e balli, che non poteria raccontare. E li diavoli sempre stanno con nuj ad jocare, in forma de homini, e belli e bianchi come un lacte. ... -

 E' questa la testimonianza, né particolarmente ricca di elementi fantastici né elaborata a livello simbolico e narrativo, resa dalla strega Bellezza Orsini, processata vicino a Roma nel 1528, dopo aver subito la prova della corda. Nella sua elementarietà, la descrizione del sabba fatta da Bellezza può essere assunta come esempio standard stregonico imposto da inquisitori e demonologi, a partire dalla fine del XV secolo.

Identiche descrizioni le ritroviamo dappertutto in Europa e nelle Americhe lungo tutto il periodo della persecuzione. Pochi i casi in cui emergono particolari che, differendo dallo schema generale, siano in grado di aprire uno spiraglio nella cortina demonologica. Motivo questo che ha indotto in passato molti storici a ritenere la stregoneria prodotto dell'unione delle menti disturbate di povere donne con l'intransigenza dogmatica degli inquisitori e la superstizione dei giudici secolari; prodotto suggellato dalla tortura e dal timore del rogo.

Eppure la ricerca di Carlo Ginzburg, condotta sul corpus dei processi dell'inquisizione udinese, testimonia la sopravvivenza di una credenza antichissima e originale, quella dei Benandanti (legata forse ad ancestrali rituali di fertilità) che sfora la griglia inquisitoriale e demonologica, aprendo nuove strade allo studio dell'in sé della stregoneria. Ad onor del vero, già negli anni '20 del nostro secolo, una studiosa inglese, Margareth Murray, aveva sostenuto, senza però un adeguato supporto documentario, l'esistenza dietro le testimonianze delle streghe di un culto primitivo di fertilità, sopravvissuto nell'Europa medievale e moderna, fondato sull'adorazione di due divinità incarnanti lo spirito maschile e femminile. In mancanza di precisi riscontri, questa tesi fu tuttavia rigettata dagli storici di professione, che giudicarono lo studio della Murray una mera elucubrazione e i suoi ragionamenti vacue ciance. Resta però il fatto, importante, di aver per prima capito che, dietro alle bizzarre confessioni rese dalle streghe, non vi fossero solo la paura della tortura e del rogo, o i deliri di qualche donnetta disturbata, ma il retaggio - sicuramente distorto - di antiche tradizioni cultuali e di esperienze religiose.

D'altro canto anche da noi, in Italia, abbiamo la possibilità di verificare direttamente la bontà della strada indicata dalla Murray. Nei primi due processi per stregoneria celebratisi nel nostro Paese, di cui siamo attualmente a conoscenza, sono già presenti le dinamiche porteranno nel corso di più secoli alla trasformazione del patrimonio culturale e religioso contadino in una autentica diavoleria.

Due donne furono processate nel 1384 e poi nel 1390 davanti all'inquisitore di Milano con l'accusa prima di superstizione e in seguito di stregoneria. Se nel primo processo contro Sibilla de Laria e Pierina de Bugatis il capo d'imputazione formulato dal giudice ecclesiastico fu quello di aver ritenuto reale la loro partecipazione al cosiddetto gioco di Diana (probabilmente un rito pagano di iniziazione femminile), a soli sei anni di distanza assistiamo a un sostanziale mutamento nel rapporto fra l'inquisitore e il mondo della magia e della religiosità popolare. Dopo esser state sottoposte a tortura, le due imputate confessarono che nei riti ai quali partecipavano prendeva parte, accanto alla "domina ludi", lo spirito Lucifello, ossia il demonio. Sulla scorta di questa confessione le due donne furono ritenute colpevoli di aver partecipato realmente a un rito diabolico e per ciò condannate al rogo.

Questo episodio, all'origine della persecuzione in Italia e in Europa, dimostra prevalentemente due cose. Innanzitutto che, col passaggio dal Medioevo all'Età moderna, lo scetticismo delle autorità ecclesiastiche nei confronti dei racconti delle mulierculae rusticarum si tramutò in tetragona fede sulla loro effettiva realtà. In secondo luogo, che tale processo di concretizzazione del mondo di credenze, culti e simboli arcaici fu reso possibile attraverso la sua rilettura in chiave diabolica. D'altro canto, la relativa antichità del documento milanese dimostra, se ve ne fosse ulteriore bisogno, l'esistenza di una religiosità popolare molto meno omogenea, in senso cristiano, di quanto vorrebbe certa tradizione storiografica.

 

Possibili chiavi di lettura di ciò che dal '400 in poi si intese colpire con eccezionale durezza possono essere desunte dai documenti precedenti, per così dire, dell'oro della caccia. Nella documentazione ecclesiastica altomedievale, in specie, è possibile ritrovare notizie, non del tutto distorte, su particolari riti e credenze pre-cristiane che continuavano a essere seguite dai rustici accanto alle pratiche della religione ufficiale.

Nella famosa istruzione a uso dei vescovi, nota con il nome di Canon Episcopi, veniamo a conoscenza, secoli prima della mistificazione demonologica, della diffusa credenza in alcune donne che:

-... sviate da illusioni e seduzioni diaboliche, credono di cavalcare la notte certune bestie al seguito di Diana, dea dei pagani (...) e di attraversare larghi spazi grazie al silenzio della notte profonda ...-

 


Il sabba sul Blocksberg, incisione dal Kurtze Lehr-Satze von dem Laster der Zauberei (Brevi tesi sul vizio della magia) di Christian Thomasius (1711)
 

  

 In un altro importante documento ecclesiastico altomedievale dell'XI secolo, il Decretum di Burcardo, vescovo di Worms, troviamo nel XIX libro, intitolato Corrector, una credenza analoga a quella del Canon, solo che qui al posto di Diana compare il suo equivalente germanico, la dea Holda:

- ... Alcune donne affermano di essere costrette in determinate notti, ad accompagnare una turba di demoni trasformati in donne, che il volgo stolto chiama Holda ...

... Altre dicevano di uscire dalle porte chiuse nel silenzio della notte, lasciandosi dietro i mariti addormentati: dopo aver percorso spazi sterminati con altre donne vittime dello stesso errore, uccidevano, cuocevano e divoravano uomini battezzati, a cui restituivano una parvenza di vita riempiendoli di paglia e di legno. ...

... Altre ancora sostenevano di volare, dopo aver oltrepassato le porte chiuse, insieme ad altre seguaci del diavolo, combattendo tra le nubi, uccidendo e infliggendo ferite. ... -

Ecco allora da questi documenti affiorare, come una remota radice, un nucleo abbastanza autonomo di credenze pagane nel cuore dell'Europa medievale. Morfologicamente queste credenze presentano dei tratti in comune, in particolare: il rito officiato in onore di una divinità femminile, il conferimento di particolari conoscenze durante la celebrazione da parte della Domina ludi, l'uccisione rituale di bestie o uomini e la loro resurrezione, infine il volo notturno a cavallo di animali per recarsi sul luogo del rito.

Come testimonia il caso delle due donne processate a Milano, credenze simili a quelle registrate nei canoni altomedievali, mantenutesi fino agli albori dell'Età moderna, costituiscono con molta probabilità il materiale di base per la costruzione del sabba diabolico.

Tra i vari elementi costituenti, tuttavia, merita un discorso particolare il volo notturno. Abbiamo visto infatti, nel processo milanese del '300, come il mutamento dell'atteggiamento dell'inquisitore nei confronti delle due donne comportasse essenzialmente, una volta associato il gioco di Diana all'omaggio diabolico, il reale trasferimento delle imputate sul luogo del rito. Affermare così la realtà del volo significa ammettere la realtà della stregoneria e l'esigenza della sua persecuzione. Si capisce bene perché la dimostrazione della realtà del volo nel corso del XV secolo, cioè negli anni in cui si venne formando lo stereotipo del sabba diabolico, divenisse una delle principali preoccupazioni dei demonologi.

 Gli argomenti di cui si avvalsero i demonologi quattrocenteschi, per lo più domenicani, per spiegare il volo delle streghe, furono desunti da un lato dalla tradizione scritturale e teologica, dall'altro dalle categorie del razionalismo tomista. Illuminanti a questo riguardo sono i ragionamenti svolti da due demonologi di spicco: il professore di filosofia, teologia e diritto del collegio di Salamanca, Alfonso Tostato, e l'inquisitore francese Jean Vineti.

L'insigne biblista spagnolo fu il primo ad affermare in sede teorica la sostanziale identità fra la Diana del Canon e il Principe del Male. Su tali basi era così possibile superare l'ostacolo costituito dallo scetticismo espresso nell'istruzione altomedievale nei confronti dei racconti delle mulierculae rusticarum. Il peccato non consisteva più dunque nel ritenere reali le illusioni del demonio, come aveva affermato fino ad allora la Chiesa, ma nell'errore di quanti adoravano una divinità oltre l'unico Dio. D'altra parte, l'associazione del culto di Diana-Holda (Perchta) con l'adorazione diabolica permetteva al brillante demonologo di affermare la possibilità che il volo notturno delle adepte avvenisse realmente. Così scriveva Tostato:

- ... Il diavolo trasportò una volta Cristo nel deserto fin sul pinnacolo del tempio, e ancora dal pinnacolo su un monte elevato, come è affermato in Matteo e Luca. Perciò, dal momento che il diavolo ha potuto trasportare Cristo, potrà anche trasportare chiunque altro (...) l'esperienza quotidiana lo conferma, esperienza che volesse il cielo non fosse tanto conosciuta! Infatti sappiamo che molti, in brevissimo tempo, si recano da luoghi distanti ad altri luoghi, servendosi per tale scopo di diavoli, che sono i prìncipi dei malefici. E ciò è così lampante, che sarebbe un'impudenza negarlo, dal momento che vi sono mille testimoni a conoscenza di ciò. ...

(... ) Pertanto bisogna dire che l'uomo per sua volontà può essere trasportato dai diavoli attraverso luoghi differenti, per avere così la collaborazione diabolica nella realizzazione dei malefici. ...-

 Con Jean Vineti, la demonologia compì un ulteriore passo in avanti nella dimostrazione teologica e razionale della realtà del volo e del sabba. Nel suo Tractatus contra daemonum invocatores, l'inquisitore francese sostenne che la "moderna stregoneria" era un fenomeno assai diverso dall'antica congrega delle seguaci di Diana. Le streghe aderiscono consapevolmente alla setta di Satana, compiono realmente ciò che dicono di fare e per questo credere nella realtà dei loro poteri, compreso quello di volare sulle scope e sugli animali, non è in contraddizione né con il Canon né con i Sacri Testi. E' evidente allora, scriveva il Vineti, che le parole del Canon non possono riferirsi ai moderni eretici che

 -... da svegli invocano i diavoli e li adorano, aspettano e seguono i loro consigli, tributano loro onori e, cosa che supera la ferocia delle belve, sacrificano ai diavoli i propri figli, spesso i bambini degli altri, ricorrendo alle loro sconcezze. ...-

 Ritenere reali i riti agrari a sfondo propiziatorio o quant'altro di alieno dalle categorie morali cristiane era sopravvissuto nelle campagne non era più cosa superstiziosa, ma conforme agli insegnamenti dei Padri della Chiesa:

 -... Come testimonia Tommaso, il diavolo può tramutarsi in pneuma e prender le sembianze umane, vuoi maschili vuoi femminili e di conseguenza partecipare concretamente ai giochi erotici del sabba. ...-

 Parimenti, la cavalcata notturna delle seguaci di Diana non era illusoria perché:

 - ... un angelo, buono o cattivo, se Dio lo permette, può per sua natura le virtù trasportare corporalmente un uomo da un luogo ad un altro, ed anche portarlo molto distante. Infatti secondo Tommaso la natura inferiore entra a contatto con la natura superiore con quanto ha di più alto. Ora, la natura materiale è al di sotto della natura spirituale. Ebbene, tra tutti i moti del corpo il più perfetto è il moto locale, come è dimostrato in Aristotele, e questo poiché un corpo, in quanto mobile di moto locale, non ha una potenzialità intrinseca: è in potenza al luogo. Ecco perché anche i filosofi ammisero che i corpi superiori vengono mossi localmente da sostanze spirituali. Da ciò vediamo che l'anima muove il corpo in maniera primaria e principale secondo il luogo. ... -

 Quanto sostenuto dai filosofi antichi è comprovato, affermava il Vineti, dalla Sacra Scrittura, laddove si dice in Daniele che l'angelo del Signore trasportò per i capelli e alla velocità del vento in Babilonia il profeta Abacuc, nell'episodio menzionato nei Vangeli apocrifi del volo di Simon Mago sul Campidoglio, oltre al già citato passo di Luca e Matteo.

 Lasciamo da parte per il momento questa discussione, anche se sul dibattito sulla realtà del volo bisognerà alla fine tornare. Limitiamoci per ora a osservare come nelle confessioni delle streghe compaiano, oltre agli aspetti già noti della "congrega di Diana", elementi che, per quanto filtrati dalla logica inquisitoriale e demonologica, potrebbero riconnettersi a una esperienza estatica fondata sull'uso di sostanze psicotrope, sopravvissuta al pari di altre antichissime credenze e culti nell'Europa cristiana (battaglie per la fertilità, culto dei morti, credenze in uomini dotati fin dalla nascita di poteri speciali).

In particolare intendiamo riferirci alla pratica delle streghe di spalmarsi il corpo con uno speciale unguento prima di recarsi in volo al sabba. Pratica attestata in numerosi processi a partire dal XV secolo. Interessante a questo proposito è quanto riportava alla metà del Quattrocento, cioè agli inizi della codificazione dello stereotipo stregonesco, il domenicano Johan Nider, autore del celeberrimo Formicarius (stampato a Colonia nel 1479). Racconta Nider che un giorno, dinanzi a un suo correligionario, una certa donna entrò in un grande recipiente nel quale

-  ... si suole fare la pasta, e vi si accomodò; pronunciate parole malefiche, cosparso di un unguento il capo reclinato, si addormentò e, immediatamente, per opera del demonio, sognò la dea Venere e altre cose superstiziose tanto intensamente da gridare di gioia con voce alterata, e battendo le mani per applaudire, mosse eccessivamente il recipiente in cui sedeva, cosicché esso, precipitando dall'alto sgabello, ferì gravemente il capo della vecchia che vi si era accomodata dentro. ... -

 Dinanzi a simili episodi non ancora del tutto inquinati dalla demonologia e in assenza di una più dettagliata descrizione dell'unguento non possiamo far altro che formulare delle congetture.

Innanzitutto, va osservato come nel patrimonio demoiatrico fossero note le proprietà narcotiche di piante come la belladonna e la datura stramonium, tanto per citare alcune delle erbe tossiche diffuse sul nostro continente. E non ci pare, a questo proposito, un argomento a sfavore di un possibile culto estatico di origine narcotica l'assenza nei processi di precisi riferimenti all'amanita muscaria (il fungo degli sciamani asiatici). Gli effetti tossici della belladonna, congiunti a quelli della cicuta, potevano bensì provocare allucinazioni tali da spiegare le fantastiche visioni delle streghe.


Un sabba nell'elettorato di Treviri, da un xilografia degli inizi del XVII secolo.


D'altro canto non dovevano essere ignoti alla medicina popolare gli effetti allucinogeni della segale cornuta, ovverosia del parassita che aggredisce i cereali, in specie la segale, particolarmente diffusa nell'Europa medievale e moderna come sostituto del più pregiato grano. Il fungo parassita, noto scientificamente col nome di claviceps purpurea, contiene un alcaloide, l'ergonovina, dal quale è stato sintetizzato in laboratorio, nel 1943, l'acido lisergico dietilamide, l'LSD. Sebbene allo stato attuale non vi siano riscontri oggettivi circa l'uso sacramentale di tale sostanza, i potenti effetti psicotropi della segale cornuta dovevano essere conosciuti dalle mulierculae rusticarum, soprattutto in considerazione delle non rare epidemie di ergotismo a cui andavano soggette le popolazioni dell'Europa medievale e moderna. In tempi di carestia poteva facilmente capitare che farina di segale contaminata dalla claviceps venisse adoperata per la produzione di pane, provocando così o forme gravissime di cancrena o convulsioni e crampi violentissimi, accompagnati da stati simili all'epilessia, con perdita dei sensi per la durata di alcune ore. Di estremo interesse ai fini del nostro discorso è quanto osservava, nel 1723, il medico tedesco J. G. Andreas, testimone oculare di una epidemia di ergotismo in Slesia. Nel descrivere le manifestazioni del morbo, egli sottolineava come alcuni fossero scossi da contrazioni dolorosissime, mentre altri "simili a estatici, parlavano in un sonno profondo" e, toccato il parossismo, si destavano riferendo di varie visioni.

Quanto poi all'amanita muscaria, vogliamo ricordare che, sebbene il fungo non rientrasse direttamente nelle confessioni delle streghe, nei loro racconti troviamo spesso riferimento al rospo. Ora, c'è una specie di rospi, ritenuta dalle credenze popolari velenosa, la quale si apposta all'ombra dell'ovulo malefico per mangiare le mosche uccise dal suo veleno; in tal modo, nella pelle di questi batraci si accumula un potente alcaloide, la bufotenina. Sulla scorta degli studi compiuti agli inizi di questo secolo da Phisalix e Bertrand, i primi a isolare l'alcaloide bufotenina nella ghiandola parotide di un rospo, le fantasiose descrizioni delle streghe assumono ben altra consistenza, laddove si ponga attenzione soprattutto agli effetti allucinogeni che questa sostanza è in grado di procurare. Gli studi recenti sulla bufotenina hanno infatti riscontrato le seguenti manifestazioni: aumento dell'energia muscolare, dell'aggressività e dell'eccitazione sessuale; aumento delle capacità psichiche e sensazione di chiaroveggenza; infine, dato assai interessante, perdita del senso delle coordinate spazio-temporali, con conseguente sensazione di volare.

Ci troviamo, è evidente, sia nel caso della segale che in quello del rospo dinanzi a delle mere induzioni. Esistono tuttavia numerosi documenti e testimonianze che provano l'esistenza, nella società europea medievale e moderna, di sostanze narcotiche e tossiche, le quali a vario livello rientravano nella vita quotidiana dei rustici e degli inurbati: dalla preparazione dell'innocuo beverone a base di papaverina, somministrato agli infanti, ai veleni ricavati dalle piante e usati nelle congiure di palazzo, alle droghe adoperate nella farmacopea popolare come lenitivi.

E' vero altresì che, come abbiamo avuto modo di osservare, mancano per quanto concerne l'Europa elementi che possano far pensare, al pari delle popolazioni meso-americane, all'uso di allucinogeni in una cornice rituale. Un'assenza che ha indotto numerosi storici e antropologi a ritenere una peculiarità del patrimonio culturale europeo l'estraneità al mondo delle droghe, senonché la recente scoperta della mummia di Similau, risalente a 5300 anni fa, potrebbe mettere in discussione tale diffusa convinzione. Gli scienziati dell'università di Innsbruck sono infatti propensi a ritenere l'antico abitatore del nostro continente una sorta di stregone o di sciamano, come testimoniano i funghi conservati nella bisaccia della mummia, i quali avrebbero poteri allucinogeni, una sorta di LSD dell'Età del bronzo, forse utilizzati per rituali magici. Un'ipotesi che, se confermata, potrebbe realmente aprire nuove e inaspettate vie allo studio dello sciamanesimo in Europa e all'accertamento delle sue vie di diffusione.

 


 

Il sabba sul Blocksberg, incisione dalla  Blockes-Berges Verrichtung di Johannes Praetorius (1668)

 

 

Ma atteniamoci ai fatti e ritorniamo al veemente dibattito apertosi, sul finire del XV e gli inizi del XVI secolo, fra i sostenitori della realtà diabolica del volo delle streghe e quanti, da più versanti, si dichiararono scettici.

Nel primo decennio del '500, un coraggioso frate minorita lombardo, Samuele de Cassinis, nella sua Questio lamiarum (1505), tentò di scardinare dall'interno la "perfetta costruzione del mondo delle streghe alla cui realizzazione massimamente contribuirono inquisitori e teologi domenicani". De Cassinis, comprendendo a pieno l'importanza che assumeva la dimostrazione della realtà del volo nella formulazione dell'accusa di stregoneria diabolica e forte della sua solida preparazione teologico-filosofica, puntò attraverso "la sottile analisi delle possibilità diaboliche nel determinare il movimento dei corpi" a provare l'improbabilità del trasporto notturno a opera del diavolo.

 

 

Siamo tuttavia in presenza di argomentazioni che traggono sostegno dal medesimo retroterra culturale dei demonologi, utili senza dubbio a contrastare l'ondata persecutoria, ma non in grado di scardinare i presupposti ideologici. 

Molto più eversiva rispetto ai tempi fu la posizione assunta da Pietro Pomponazzi nel suo De naturalium effectuum causis sive de incantationibus (Basilea, 1556). Egli, in nome della filosofia naturale, restrinse i confini terreni delle influenze demoniche, asserendo l'origine allucinogena del volo notturno e delle fantastiche descrizioni del sabba. La spiegazione naturale delle confessioni delle streghe andava dunque ricercata principalmente negli unguenti che esse dicevano di usare.

Qualche decennio più tardi, per la precisione nel 1589, un mago-filosofo naturale, il napoletano Giovan Battista Della Porta asserì apertamente, sulla scia del Pomponazzi, la stretta relazione tra gli effetti allucinogeni degli unguenti e il volo delle streghe. Egli, nel suo libro Magia naturalis , raccolse alcune formule usate dalle streghe per la preparazione dei famosi unguenti e, al fine di studiarne gli effetti, fece ungere in sua presenza una vecchia in odore di stregoneria. I risultati di quell'esperimento convinsero vieppiù il mago-filosofo napoletano che, solo dopo essersi cosparse il corpo con quel miscuglio, le fattucchiere "credono di volare, di banchettare, di incontrarsi con bellissimi giovani dei quali desiderano ardentemente gli abbracci".

Sempre in quell'arco di tempo, altri uomini di scienza, medici e filosofi, giunsero a conclusioni analoghe. Il medico spagnolo Andreas a Laguna sperimentò l'uso di sostanze simili a quelle descritte dal Della Porta, ottenendo risultati che confermavano la tesi che il volo delle streghe fosse un fenomeno naturale, provocato dagli unguenti allucinogeni. Gerolamo Cardano, il medico milanese che soleva definirsi "magus, incantator" e che diceva di cadere in estasi ogni qual volta lo volesse, sosteneva la tesi che, nella maggior parte dei casi conosciuti, l'uscita da sé delle streghe era da ricondursi a ragioni prettamente naturali (De rerum varietate, 1557). Nel 1592, infine, veniva pubblicato un trattatello intitolato Dell'estasi straordinaria di alcuni uomini che talvolta vanno in estasi in questo o quel luogo con l'anima e senza il corpo. L'autore, un certo S. Fridrich, nativo di Lindau, distingueva l'estasi dei profeti, quella di uomini e donne pie (per esempio di sua madre e sua nonna), quella dovuta a cause naturali e quella delle streghe ottenuta tramite unguenti.

Che dietro al volo notturno delle streghe potesse celarsi un'esperienza narcotica non era dunque, per importanti esponenti della medicina e della magia naturale, una semplice ipotesi, ma una realtà comprovata da numerose testimonianze ed esperimenti.

Viene spontaneo di domandarsi a questo punto quale sia stato l'impatto di queste tesi nel dibattito apertosi sull'esistenza delle streghe diaboliche e quali furono le reazioni dei demonologi.

Ora, premettendo che nessun effetto immediato sull'andamento della caccia fu esercitato dalle affermazioni di un Pomponazzi e di un Della Porta, dato anche il ristretto pubblico al quale si rivolgevano, c'è un fatto che colpisce la nostra attenzione e merita un approfondimento. Non pochi demonologi e fautori della caccia erano, infatti, al corrente degli effetti narcotici delle sostanze impiegate negli unguenti e non pochi tra loro ignoravano la possibilità che la cavalcata notturna e la tregenda fossero collegate a culti estatici. E' questo, a nostro avviso, un elemento di singolare importanza che fino ad oggi non ha avuto il dovuto interesse da parte degli storici e che, se attentamente vagliato, potrebbe indurci in una riconsiderazione complessiva del fenomeno persecutorio.

Come spiegare, infatti, l'atteggiamento del medico francese De Nynauld, convinto demonologo, che nel trattato De la lycantropie, transformation et extase des sorciers, pubblicato a Parigi nel 1615, distingueva tre tipi di unguento? Quello che fa credere alle streghe di recarsi realmente al sabba, ma agisce unicamente sull'immaginazione; quello che permette un vero trasporto al sabba (naturalmente con il permesso di Dio); quello che dà l'illusione di una trasformazione animale. A ben vedere, la suddivisione proposta dal medico francese ricalca solo in apparenza quella suggerita dal Fridrich. Ci troviamo, ma è solo un'ipotesi, dinanzi alla riduzione delle ragioni addotte dai fautori dell'origine naturale del volo nelle rigide categorie della demonologia diabolica, come a dire un'attualizzazione del pensiero pre-scientifico a uso e consumo dei cacciatori di streghe. Procedimento, a dire il vero, non raro nella demonologia, se pensiamo ad esempio all'uso che il francescano Sinistrari fece dell'invenzione del microscopio per giustificare le sue bizzarre tesi sui demoni incubi e succubi.

D'altro canto, anche coloro i quali non pretendevano di accordare le proprie opinioni alle teorie in voga tra i maghi naturali, sulla sola scorta delle loro conoscenze dirette (della loro razionalità), erano ben al corrente delle proprietà narcotiche degli unguenti. E' questo il caso del giurista Nicholas Remy, autore della Demonolatreia (1595) e di Pierre De l'Ancre, autore del Tableau de l'incostance de mauvais anges et demons (1613), i quali, sebbene non ignorassero né gli effetti degli unguenti, né cause naturali (come la particolari condizioni patologiche di alcune imputate: epilessia, amenorrea, dismenorrea, insufficiente o cattiva alimentazione), ciò nonostante ribadirono, con "l'occhio affilato dall'odio", le proprie convinzioni circa la realtà diabolica del volo delle streghe.

Che dire, infine, dell'irrazionalità mostrata dall'antesignano degli studi giuridici, il giureconsulto francese Jean Bodin, nella spiegazione dei racconti delle streghe, lui che - come testimoniano recenti studi - non era certo digiuno di nozioni naturali?

Forse una spiegazione indiretta a questo curioso cortocircuito della ragione, che a suo tempo indusse uno storico del calibro di Lucien Febvre a parlare di doppio oscuro della razionalità pre-moderna, potrebbe trovarsi nella violenta requisitoria che l'insigne giurista francese svolse dalle pagine del suo "best-seller", la Demonomanie des sorciers, contro i sostenitori della spiegazione naturale del volo.

Sia Cardano che Della Porta furono, dalle pagine della Demonomanie, accusati da Bodin di necromanzia e di collusione col demonio. Interessante è, inoltre, un episodio, poco noto, che si registrò a tergo della querelle fra Bodin e il Della Porta. Il mago napoletano, pur replicando duramente alle accuse rivoltegli, sentì l'esigenza, forse per cautelarsi da eventuali azioni giudiziarie, di sopprimere dall'edizione successiva della Magia naturalis il passo relativo all'esperimento dell'unguento magico.

Certo, la tacita autocensura del mago-filosofo dimostra come, nel clima di intolleranza creato dai fautori della caccia, non vi fosse spazio per alcuna critica e alcun dubbio sulle pretese ragioni della demonologia. Bodin tacciava di empietà chiunque si azzardava ad applicare metodi e ragionamenti che sono propri della scienza alla teologia, vera regina delle scienze. Oppure, in questa secca reazione da parte di un uomo di scienza come Bodin v'era forse il timore che l'esperimento del Della Porta rappresentasse un fastidioso cavallo di Troia con il quale la cittadella dei demonologi avrebbe potuto essere espugnata. Non altrimenti è comprensibile la durezza usata nei confronti dell'autore della Magia naturalis . Per Bodin, implacabile giudice nei processi di stregoneria in qualità di presidente del tribunale di Laon, i malefici (maghi, necromanti, streghe e chiunque altro) non dovevano semplicemente vivere. In quest'ottica le spiegazioni naturali, come le sottigliezze giuridiche di un Alciato, erano solamente dei diversivi, inutili ed empi, che avevano come obiettivo quello di negare, in definitiva, la presenza e l'opera dello Spirito del Male e, quindi, di mettere in discussione il principio stesso dell'accusa di stregoneria.

Sulla falsariga di questi cattivi maestri italiani, maestri di scetticismo e di empietà, s'inserisce l'opera di un altro grande avversario del giureconsulto francese, il medico del Brabante Johann Wier, allievo di Cornelio Agrippa di Nettesheim e autore di un celeberrimo libello, intitolato De lamiis, pubblicato nel 1577.

Il Wier, assurto dalla storiografia positivista a benefattore razionalista dell'umanità, è a ben vedere molto meno innovativo di altri suoi contemporanei riguardo alla spiegazione della stregoneria. Senza mettere in discussione la cornice ideologica dei demonologi, egli riteneva che le streghe fossero vittime del demonio, anche se non artefici delle assurde e impossibili operazioni a loro attribuite. Trattandosi di donne disturbate, cioè affette da melancolia, per di più anziane e semplici, Satana aveva facile gioco a illuderle, facendole credere di volare e di partecipare al sabba. Il Principe dell'inganno e delle burle, dunque, attraverso di esse aveva come scopo quello di ingannare giudici e dotti. Chi prendeva sul serio i deliranti racconti delle streghe era già caduto, secondo Wier, nelle reti che Satana gli tende. Quanto alle povere donne di campagna, alterate nei loro umori dalla cattiva alimentazione, dalla morbosità dello stato melancolico, il medico suggeriva di non sacrificarle a Vulcano, ma di curarle con l'elleboro (il rimedio dei pazzi). Inoltre, sul ruolo esercitato dagli unguenti nelle esperienze vissute dalle streghe, Wier si fece portavoce di una curiosa spiegazione. Pur al corrente di quanto asserivano i suoi colleghi d'Oltralpe, in specie dell'esperimento descritto dal Della Porta, egli circoscrisse gli effetti estatici dell'unguento, riducendolo a un semplice soporifero consigliato alle streghe dalla maligna intelligenza diabolica. Scriveva Wier al proposito:

 - ... Quel maestro di frodi, per conseguire i suoi fini, fornisce talvolta alle streghe certi preparati naturali che, una volta spalmati e frizionati addosso, provocano loro l'illusione di volare attraverso i camini, di spostarsi per l'aria in ogni direzione, di andare ad orge e deliziosi concerti, di subire amplessi ed altre piacevolezze di questo genere; in realtà quell'ingannatore dalle mille risorse imprime tutto questo nelle loro menti durante il sonno, quando, dopo essersi unte con l'unguento soporifero, cadono senza accorgersi e totalmente in uno stato di profondo letargo. ... -

 Con un procedimento analogo a quello adottato dai demonologi, i quali avevano già associato i culti diffusi presso i rustici sic et simpliciter all'adorazione del demonio, Wier riduce le esperienze oniriche e narcotiche alle illusioni diaboliche e l'unguento a un espediente fornito dalla scienza satanica alle dementi donnette di campagna. Scemava in tal modo ogni considerazione sugli effetti allucinogeni causati dall'unguento e, in ultima analisi, la possibilità di dimostrare la realtà narcotica del volo stesso, come sostenuto dal Della Porta.

 Negata, sia pure da posizioni di tolleranza, qualsivoglia forma di autonomia culturale ai voli notturni e a quanto si celava dietro alle tregende, si andò affermando un cliché destinato a durare secoli: quello appunto della strega vecchia, ignorante, affetta da disturbi psichici, immolata sul rogo dall'intolleranza e dalla crudeltà dei giudici. Uno stereotipo duro a morire, giacché a partire dall'Età dei Lumi esso rappresentò uno dei cavalli di battaglia dei filosofi éclaire nella lotta contro la superstizione e l'oscurantismo della Chiesa.

Il nostro Girolamo Tartarotti, intervenendo autorevolmente alla metà del XVIII secolo sulla questione dei poteri diabolici, nel suo Congresso notturno delle lamie, sostenne che tra le cause che portavano le streghe a confessare cose incredibili ed enormi vi era il fatto che, nella maggior parte dei casi, si trattava di povere femmine di campagna:

-  ... che non vivevano altro che di latte, erbe e castagne, legumi e altri cibi somiglianti, i quali generano sangue grosso e lento, e producono sogni orribili e spaventosi. ... -

 Un'altra causa era data dalla loro particolare complessione atrabiliare o melancolica:

 - ... che le portava a coltivare pensieri torbidi e idee stravagantissime in modo così ossessivo da asserirli anche davanti ai giudici e col timore del castigo. ... -

 Infine Tartarotti menzionava l'unguento, che:

 - ... altro non è che un potentissimo narcotico, il quale lega altamente i sensi e gli sepelisce in un profondissimo sonno. ... -

 La donna in cui concorrevano tutte queste cause, proseguiva il Tartarotti, "ha una fantasia già sufficientemente predisposta a riscaldarsi e bollire" e pronta a rappresentare ogni cosa immaginabile, tanto più le forze oscure e invisibili legate al diavolo.

Se lentamente era andato sfaldandosi il castello costruito in secoli dai demonologi e dagli inquisitori grazie all'annichilimento - per usare un termine caro ai nostri illuministi - dei poteri diabolici, restava in piedi, come abbiamo visto, un cliché mistificante nei confronti dell'in sé della stregoneria.

 Non deve perciò stupirci allora se ancora nel nostro secolo troviamo giudizi orientati, anche in campo specialistico, allo stereotipo della strega vittima della propria debolezza e del fanatismo dei giudici. A tale proposito è indicativo di una certa corrente interpretativa quanto scriveva su una rivista di storia della medicina S. Mazalkowicz. Partendo dal presupposto che vi fosse un'origine comune nei racconti delle streghe, egli giungeva a sostenere che questa era il frutto di "un delirio tossico di individui psichicamente tarati, svolgentesi in una determinata atmosfera che indirizzava il detto delirio verso determinate espressioni". Non molto diversamente si esprime, in tempi più recenti, Piero Camporesi, il quale nel suo lavoro intitolato Il pane selvaggio accredita la tesi secondo cui la stregoneria rappresenterebbe la manifestazione di uno dei molteplici deliri tossicologici caratterizzanti la società preindustriale.

 Pur continuando a godere di una certa considerazione tra gli storici, oggi simili tesi riduzionistiche rispetto all'in sé della stregoneria sono state soppiantate da indirizzi di ricerca che, a partire dalla rivalutazione dei racconti delle streghe, mirano ad accertare l'eventuale presenza in Europa di esperienze analoghe allo sciamanesimo siberiano e meso-americano.

Da noi Alfonso Di Nola, accogliendo l'interpretazione dello storico Stylgmair, sostiene la stretta connessione fra la stregoneria diabolica e lo sciamanesimo. La strega avrebbe - secondo Di Nola - tutte le caratteristiche dello stregone di altre culture primitive, ma con connotazioni negative e antisociali che la renderebbero partecipe di una particolare forma sciamanica, di sinistra o nera. Questa tesi, pur avendo il merito di porre in relazione la figura storica della strega europea con tradizioni appartenenti ad altre culture, presenta il duplice difetto di non essere, da un lato, confortata da un'adeguata ricognizione documentaria e, dall'altro, di assumere come propria l'ottica di demonologi e inquisitori, mutuandone categorie e giudizi.

Più solida e feconda di sviluppi ci sembra la posizione assunta da Ginzburg, dopo lunghi anni di ricerche di archivio e di articolata analisi storica e antropologica. Già nei Benandanti, egli aveva sostenuto che la stregoneria andava risolta nell'ambito della religiosità popolare e non della farmacologia o psichiatria, "poiché le presunte allucinazioni, anziché situarsi in una sfera individuale, privata, posseggono una consistenza precisa". Attraverso lo studio di quell'eccezionale serie di processi conservati nell'Archivio di Udine e che testimoniano un caso quasi unico di divaricazione tra gli schemi demonologici degli inquisitori e i racconti degli imputati, egli è riuscito a tracciare i caratteri generali di quella che, molto probabilmente, è stata un'esperienza religiosa fondata sulla ritualizzazione dell'uscita da sé (i benandanti dicevano, infatti, di uscire in certi periodi dell'anno fuori del corpo), appartenuta per secoli alla cultura friulana, fino a quando, nella seconda metà del '500, essa cadde sotto l'occhio delle autorità ecclesiastiche.

Più di recente Ginzburg è tornato sull'argomento della stregoneria con una poderosa ricognizione storico-antropologica che ha come scopo principale quello di valutare le possibili radici storiche e preistoriche, europee ed extraeuropee, dei racconti delle streghe. Alla luce di quanto emerge dalla ricerca svolta, l'autore si dice comunque scettico sulla possibilità che nelle confessioni vi sia trasmessa la rielaborazione degenerata di una esperienza estatica provocata dall'assunzione di sostanze allucinogene; d'altro canto, soggiunge, non è detto poi che tali riti siano mai realmente esistiti.

Un'affermazione che, di primo acchito, potrebbe apparire contraddittoria, ma che in effetti si collega perfettamente alla cornice ideologica che fa da sfondo all'intero lavoro. La stregoneria e la storia della sua persecuzione vanno inserite, a detta di Ginzburg, all'interno di quella lunga catena di episodi di intolleranza verso i diversi (ebrei, valdesi, lebbrosi) che hanno punteggiato la nascita della nostra civiltà. Ammesso che abbia avuto una originalità agli occhi degli inquisitori, l'eresia stregonesca, la sua potenzialità eversiva sarebbe consistita nei suoi simboli e nelle sue credenze (in uomini dotati di particolari poteri, nel culto dei morti, etc.) e non già in presunte pratiche.

Singolare davvero la conclusione a cui giunge Ginzburg. L'autorevole studioso sovietico Vladimir Propp, non ignoto all'autore di "Storia notturna", sosteneva, nel suo libro intitolato "Le radici storiche dei racconti di fate", che non vi è mito senza un'esperienza storicamente data. Per Propp, nelle culture primitive, "rappresentazione e danza non erano spettacoli ma un procedimento magico per agire sulla natura", l'azione - aggiungeva - precede comunque la formazione del mito, che si sviluppa solo in un secondo momento.

Ed è per questo che ci è difficile immaginare una mitologia e una simbologia estatica (cavalcata notturna, trasformazione animale, cannibalismo rituale, viaggio nell'aldilà) scorporata da qualsiasi dimensione rituale fondata sull'uscita da sé; sarebbe infatti un po' come ammettere l'Eucarestia senza il sacrificio di Cristo. A meno che non si voglia chiamare in causa il fenomeno noto agli studiosi di alterazione della coscienza con il nome di "effetto eco". A causa dell'uso continuato di allucinogeni avrebbero, cioè, potuto manifestarsi, anche lontano dai riti e senza assunzione delle sostanze psicotrope, gli effetti allucinatori dell'unguento.

Tuttavia questo non ci sembra il motivo per cui Ginzburg tende a escludere la presenza di riti sciamanici sul nostro continente; al contrario, è presente nella sua ricerca, già dai tempi dei Benandanti, come abbiamo visto, la diffidenza verso qualsiasi tesi psichiatrica o, per così dire, narcotica. Diffidenza legittima, ma che non può, a nostro avviso, indurre lo storico a ignorare i fatti di cui siamo a conoscenza.

Come è possibile, infatti, misconoscere l'importanza dell'esperimento compiuto dal Della Porta quando oggi è risaputo, grazie a rigorose ricerche scientifiche, che gli effetti delle erbe utilizzate per la preparazione di quell'unguento sono tali da giustificare le fantastiche visioni delle streghe? E ancora. Come è possibile limitare a una semplice battuta a piè di pagina l'importante querelle che vide contrapposti, nel '500, i fautori della realtà diabolica del volo e quelli che invece ne sostenevano l'origine naturale (e dunque allucinogena)?

E' evidente che simili posizioni, pur comprensibili nel contesto della critica all'ancor diffuso riduzionismo storiografico, rischiano di fatto di oscurare aspetti importanti del fenomeno. D'altro canto, è vero altresì che nello scetticismo di un Ginzburg si riflette non solo la difficoltà dello storico nel reperire i documenti, ma un ostacolo di ordine psicologico  che aggetta, a nostro avviso, le sue basi proprio nel fenomeno della caccia e in quello che esso ha storicamente comportato per tutti noi.

Dopo la distruzione dei riti e la mistificazione dei simboli a essi collegati, ci è oltremodo difficile confrontarci diacronicamente e sincronicamente con le esperienze estatiche (da quelle maturate in ambito religioso cristiano all'estasi artistica, fino a quella amorosa). Tanto più con quelle originate dall'uso di sostanze stupefacenti.

Si sente spesso dire che qui da noi, in Europa, manca la cultura degli allucinogeni. Non è solo il volgo ad affermarlo, ma anche personalità come Albert Hoffman, lo scopritore del LSD. Per molti - e ne fanno fede alcuni recenti articoli comparsi sulla stampa nazionale contrari alla pubblicazione di pericolosi libelli, come l'intervista, edita per i tipi della Millelire, al menzionato padre dell'acido lisergico - invece le droghe sono semplicemente aliene dalla nostra civiltà ed, anzi, ne costituiscono una pericolosa e insidiosa minaccia, sul piano individuale e collettivo. A distanza di secoli dalla drammatica vicenda della caccia, i fumi dei roghi, per così dire, continuano a offuscare le nostre coscienze, impedendoci un equilibrato rapporto con le cose che ci circondano, ivi compre le droghe.

 In fondo, guardare alla caccia implica proprio questo: fare i conti con il nostro passato primitivo e religioso, con quanto di esso distortamente ha continuato a sopravvivere in noi fino ad oggi, spingendoci ad assumere comportamenti nevrotici e atteggiamenti schizoidi. Se è vero che la cura della mente avviene attraverso i simboli, e non solo tramite le medicine, forse dallo studio della caccia, dall'analisi del patrimonio folklorico che fu in esso distrutto (in ogni suo aspetto), potremo recuperare alla nostra coscienza qualcosa del numinoso mondo delle streghe e forse una volta tanto, contrariamente alle fiabe della nostra infanzia, la strega cattiva potrà aiutarci a sconfiggere il disagio attuale.


La tregenda, incisione tratta dalla Daemonolatria di Remigius (1693)

 

 

 

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